Senza maschera
mi specchio e vedo solo
vuoto rappreso
Senza maschera
mi specchio e vedo solo
vuoto rappreso
-allora, avevo pensato a una descrizione di un paesaggio alieno…-
-descrizione? ma non dicevi che se non c’è una storia non ha senso scrivere?-
-beh, più o meno sì, però se ci pensi bene il fascino delle storie che parlano di alieni o anche quelle di fantascienza sta nello stupore che sono capaci di suscitare, più che nella trama, che se vogliamo spesso è qualcosa di già sentito, che poi non è mica facile inventare qualcosa di nuovo e allora è più semplice ricorrere a effetti speciali, se vogliamo è una scorciatoia per nascondere un po’ la mancanza di idee sotto un cerone di trucchi…-
-sì sì ok ho capito, férmati un attimo…- Ilaria sembrava aver ritrovato la fluvialità del suo flusso di parole e Davide non poteva che rallegrarsene.
-comunque un minimo di trama ci vuole, almeno appena appena accennata, intanto questa è la base: il punto di vista è quello di una specie di mucca, che si guarda attorno e così rivela tutto-
-una mucca?-
-sì una mucca, quello non si discute, ovviamente non proprio una mucca come le nostre, ci dovrà essere qualcosa di strano in lei, pensavo tipo la lingua come quella dei camaleonti-
-divertente…- certe volte, come questa, Ilaria non riusciva proprio a capire se Davide fosse serio o se invece la stesse prendendo in giro.
-vero? ma ancora più divertente è metterci degli uomini in condizione di inferiorità, tipo per esempio minuscoli-
-ma anche loro non saranno proprio uomini come noi, giusto?-
-esatto, come potrebbero essere?-
-…- e qui bisogna sottolineare in quali direzioni si propagassero i pensieri di Davide rispetto alla pochezza dei suoi miseri contributi a quelle “riunioni di creatività”, i quali spesso si limitavano a silenzi imbarazzati: Ilaria sentiva un vero bisogno di vagliare a voce alta di fronte a un confidente le varie ipotesi di sviluppo di una trama o quei ritagli di tempo erano solo una forma di compassione verso di lui? Si rendeva conto che comunque lo umiliava sbattendogli in faccia quanto fosse superfluo il suo apporto? E se la risposta a quest’ultima domanda era affermativa, si illudeva forse che col tempo e con la conseguente esperienza sarebbe potuto diventare infine davvero utile?
-eddài, su, e non mi dire verdi, eh… anche se…aspetta, ecco: al posto del sangue hanno una sostanza verdastra, questo mi piace… ma come lo sa la mucca?-
-non saprei…-
-diciamo che una volta ne ha schiacciato uno, se per sbaglio o no ci penserò su ma non è importante… o forse glielo ha raccontato un’altra mucca, sì è meglio… perchè gli uomini potrebbero essere vendicativi… ma stiamo prendendo un’altra strada, prima vediamo se riusciamo a capire come diavolo sono fatti…-
-hanno otto gambe? o otto mani, chessò…-
-no no mi fa schifo… aspetta aspetta, sì li vedo: sono senza gambe, sì sì non si discute, sono creature monche, splendidamente assurde. che poi potrebbero avere problemi a trascinarsi dietro le balle in certi posti, e non pensarci nemmeno, il pacco glielo lascio, diciamo che il loro habitat è un deserto sabbioso, sono uomini della sabbia. e se vogliamo farli interagire con la mucca dobbiamo per forza porla in una specie di oasi circondata dalle dune- L’espressione “non si discute” non ammetteva davvero repliche ma non aveva niente a che vedere con l’autoritarismo. Come gli aveva spiegato Ilaria, durante quel processo di rimuginazione che precede il vero e proprio lavoro di scrittura le capitava che delle idee o delle immagini le arrivassero già limpide e definite; e usava il verbo arrivare perchè non le sentiva come sue, era come se piovessero da una specie di nuvola, e le percepiva come giuste a prescindere, arrivando a rivoltare del tutto un racconto pur di non modificarle. Era, se così vogliamo dire, il trionfo dell’intuito sul ragionamento e più volte Ilaria gli aveva rivelato che mentre certi racconti meditati a lungo in ogni particolare si rivelavano poi chiaramente artificiosi, al contrario quelle immagini dall’origine misteriosa la rendevano ogni volta orgogliosa di averle riportate, pur nell’evidenza del controsenso insito in quel sentimento.
-ma scusa un momento, non basta vestirsi per proteggersi le balle?-
-avresti anche ragione, solo che io li vedo nudi… e quando fa freddo? beh, possiamo farli entrare in letargo anche se non credo che questo particolare sia poi così interessante, ma per l’escursione termica giornaliera potrebbero scavarsi una buca nella sabbia, molto semplice, no? lasciamo stare un momento gli uomini e torniamo al fascino della diversità che dobbiamo far subire a chi legge: qual è la prima cosa che si deve modificare in una storia del genere?-
-…-
-ma è il sole, no?-
-è vero hai ragione, ci vogliono due soli, cioè almeno due…-
-sì, il doppio sole potrebbe essere un po’ abusato, ma a pensarci è così inquietante, così alieno che bisogna che lo lasci. però sono fissi o ruotano attorno al centro del loro sistema?-
-secondo me è più inquietante vederli ruotare…-
-potrebbe essere, però mi è appena venuto in mente il finale e allora è meglio che siano fissi, o meglio che ruotino con la velocità angolare uguale… alla velocità angolare di rivoluzione del pianeta della mucca; si dice così? boh ma ci siamo capiti, dài, l’importante è che dal pianeta sembrino sempre immobili, che si vedano sempre le stesse facce, come noi con la luna, e così diventa ancora più sconvolgente quando alla fine uno dei due deraglia dall’orbita e si appresta a cozzare contro l’altro per un bel disastro del quale naturalmente la nostra mucca può vedere solo l’inizio senza poterci fare niente- sorrideva divertita.
-e ti pareva… non poteva mica finire bene, proprio non ci riesci a evitarlo, vero?-
-no, non ci riesco, un altro finale non mi sembrerebbe adatto, non c’è niente da fare… è un po’ strano però che ci sia solo il finale mentre non c’è la storia o meglio c’è solo la descrizione di una quotidianeità e la rievocazione di episodi passati, in pratica la trama consiste solo nel finale, cioè c’è un unico strappo all’abitudine che la elimina per sempre, sembra il contrario di trama senza descrizione, cioè ecco non è per niente strano in effetti, è come dicevo prima, cioè nascondere la mancanza di idee nella trama tramite una sovrabbondanza di descrizione quasi documentaristica, e potrebbe benissimo essere così… che poi non sono un granchè portata alle descrizioni e allora forse è una sorta di esercizio di autostima, e di controbilanciamento di tutti i racconti in cui mi concentro al massimo su ciò che accade e tralascio superficialmente l’ambiente in cui si svolge l’azione, anche perchè tutto sommato mi diverto molto di più a immaginare eventi che a immaginare sfondi, anche se è un po’ vile perchè si può benissimo usare la descrizione per sparare commenti o giudizi morali o per evocare sensazioni, indovina di che genere… e in effetti è solo in questi casi che la reputo importante e per il resto la uso solo se proprio non se ne può fare a meno e così di solito mi esce banale e vuota…-
-ehi ehi, calma! ecco, cooosì, da’ un morso alla mela… brava… volevo dire, ma fare solo descrizioni banali, come dici tu, non è un po’ come autocastrarsi?-
-può anche essere, ma devi tener conto che io non ho poi così tanto tempo per scrivere, e allora mi permetterai o no di dedicarmi a quello che mi diverte di più? se fossi scrittrice di professione o avessi almeno molto tempo per scrivere, allora sì che sarebbe imperdonabile non cercare di migliorarmi su questo aspetto, come anche su molti altri, se vogliamo essere sinceri… mmm, c’era una cosa a cui stavo pensando che dopo che abbiamo deviato dall’argomento mi è scappata di testa… Da dov’è che eravamo partiti?-
-dal sole, cioè dai soli…-
-ah sì, aspetta, senti questa: abbiamo detto che i soli sono due e va bene, ma in quale altro aspetto potremmo renderli alieni?-
-nel colore. due soli blu, o uno per colore: non è strano?-
-è strano però non mi piace. scusa! non ti offendi, vero?-
-no no, tranquilla- sporgendo grottescamente il labbro inferiore, per farla ridere: risultato ottenuto con prevedibile facilità.
-senti invece: i soli invece che riscaldare potrebbero raffreddare, così avremo una notte buia ma calda… lo so che è in conflitto con la scienza ma chissenefrega, sulla pagina niente è impossibile e poi la scienza sa così poche cose e poi più assurdo è meglio è, no?-
-direi di sì…-
-a proposito di assurdo, c’è un’altra cosa che potremmo ribaltare, qualcosa di totalmente indifeso…-
-dài, lo sai che odio gli indovinelli…-
-…così indifeso che dobbiamo proteggerlo coi cartelli…-
-a me non fa ridere per niente…-
-va bene va bene, che palle di te! “non calpestate l’erba”!-
-stai pensando a piante carnivore?-
-no no no! ho detto erba! e quindi: erba velenosa… ma non che la tocchi e schiatti, ho questa immagine di una mucca che si addormenta beata e piano piano l’erba prima la accarezza e poi le si stringe addosso e un po’ alla volta, senza che lei si accorga di niente, il veleno di tutti quegli steli le entra dentro fino a ucciderla nel sonno, e allora l’erba comincerà a nutrirsi di lei, se vogliamo a succhiarla, prima che arrivi qualche predatore mobile ad approfittare dell’occasione-
-tipo un lupo o un leone?-
-no, pensavo qualcosa di più piccolo, ma non credo che ce li metterò nella storia-
-aspetta, ma allora la nostra mucca dorme fuori dall’oasi, nel deserto?-
-potrebbe… ma io la vedo meglio sopra a una grande roccia piatta e di fronte a una grande pozza: deve pur mangiare e bere anche lei…-
-ah, dici che mangia pesciolini?-
-forse, di sicuro insetti, con quella lingua… secondo me la pozza di giorno sarà coperta di ghiaccio, che si scioglierà al calar dei soli facendo uscire varie bestioline in cerca di cibo, col rischio di diventare loro stessi cibo, ovviamente… ehi ehi, mi è venuta in mente un’altra cosa: attorno ai tronchi degli alberi dell’oasi stanno attaccati miriadi di insetti, direi abbastanza perchè non si veda il colore del tronco, e poi quando si sghiaccia la pozza saltano giù per attaccare quello che esce dall’acqua, col rischio di farsi magnare dalla nostra mucca, ovviamente-
-ma se mangia di notte allora vede al buio?-
-mmm, beh diciamo che ci vede piuttosto bene ma direi che è meglio se ci piazziamo una luna, magari rossastra ma ci deve essere-
-se lo dici tu… ma che alberi sono? palme? palme da cocomeri?-
-da cocomeri? devi sforzarti di andare oltre, senti qua: non veri alberi ma funghi giganti e dal loro cappello pendono dei filamenti che i nostri ometti usano per i loro scopi… per esempio potrebbero legare le zampe di una mucca in modo che non possa più alzarsi, che deliziosa crudeltà…-
-deliziosa è proprio la parola che mi aspettavo da te…-
-non starai dicendo che sono malata?!-
-tu lo dici…
-ok ok simpaticone, cerchiamo di andare avanti invece, senti qua: fra i filamenti ci sono delle bestioline che svolazzano, tipo dei “cavallucci alati”, non male eh? e riesci a immaginare questo? i cavallucci hanno la capacità di creare un effetto ottico, se vogliamo un’arma difensiva, che li fa sembrare molto più numerosi di quel che sono realmente, e guarda la nostra mucca come con la coda crea lo scompiglio fra di loro annullando tutto!-
-…-
-tu non li vedi, vero?-
-ma cosa ci posso fare? non puoi chiedermelo ogni volta!-
-secondo me non ti sforzi abbastanza, e non fare quella faccia…-
-e invece la faccio! ma quando avrai finito di perdere tempo potremo parlare di cose serie: la nostra mucca vive da sola nella sua oasi? una mucca eremita?-
-secondo me sì. non ti piace? lei preferisce stare da sola ma se volesse le altre oasi non sono così lontane da non poterle raggiungere. e infatti il suo toro gironzola di oasi in oasi, se vogliamo è un puttaniere che… -ridacchiò- …che per giustificarsi dice che è alla ricerca dell’orgasmo perfetto… -ridacchiò- …e mi sa che alla nostra mucca ha attaccato una specie di macchia pelosa…- ridacchiò.
-non puzza un po’ di femminismo?-
-di “mucchismo” semmai… -ridacchiò- …un po’ hai ragione ma è così divertente… però si può bilanciare: la nostra mucca nonostante tutto è attratta dal toro e soprattutto affascinata dal suo fisico e dal suo… coso…- ridacchiò- …va bene così?-
-sì sì, meglio…
-ok penso di avere abbastanza spunti adesso… beh, non è stato male, dovremmo farlo più spesso…- avremmo dovuto farlo, questo era il tempo verbale che avrebbe dovuto usare, e se ne resero conto entrambi dolorosamente. Ilaria si appoggiò a Davide e si lasciò abbracciare da lui. Il cellulare di lei suonò.
-lasciamolo suonare-
-?-
-può sicuramente aspettare- e dopo cinque minuti: -se mi addormento non svegliarmi-
-non preoccuparti-
Non riuscì mai a capire se poi si fosse effettivamente addormentata oppure no, a un certo punto gli era sembrato che dagli occhi chiusi le scendesse qualche lacrima, di sicuro calda come quelle che sentiva scorrere sul proprio viso; riuscì almeno a evitare di singhiozzare e disturbare così il respiro regolare di lei. Rimasero così per mezz’ora abbondante, fino a che Ilaria rabbrividì e si staccò bruscamente da lui:
-scusa… ho freddo, non fa freddo? che ora è? …forse devo cominciare a preparare qualcosa…mi sa che dovrai restare solo per un po’…-
-potrei anche sopravvivere…- gli era uscito senza pensarci su, forse il più inopportuno dei commenti, a cui si poteva controbattere in mille modi diversi (sicuro?/ per adesso sì ma non farci l’abitudine/ forse, ma vivere?/ etc), nessuno dei quali divertente. Oltre a qualcuna di queste battute gli passò in testa anche la scritta “l’ultima cena”, la immaginò dipinta su di un’insegna dondolante appesa alla volta che introduceva alla cucina.
-Papà?-
-Dimmi-
-Da oggi parlo-
-Lo sento. Sei bravo-
-Lo dici solo perchè sono tuo figlio-
-No, sei bravo davvero, hai imparato bene-
-Ho imparato da te-
-È vero, ma non era facile-
-Papà?-
-Dimmi-
-Perchè sono tanto più grande di te?-
-Perchè hai preso dalla mamma-
-Io non me la ricordo. Dov’è la mamma?-
-La mamma… La mamma non poteva restare con noi-
-Come gli altri. La mamma è solo una degli altri?-
-Non parlare così di tua madre-
-Scusa-
-Lei voleva restare-
-Ma non è rimasta-
-No, perchè l’hanno costretta a andarsene-
-E noi? Ci hanno costretto a restare?-
-Noi… No, ma qualcuno doveva farlo-
-Cioè se non c’eravamo noi non c’era nessun altro?-
-Sì, è come dici tu-
-Non mi hai chiesto come la pensavo-
-No, hai ragione-
-È perchè io non conto niente?-
-No, cosa dici?-
-Allora è perchè non credi che possa prendere decisioni assennate?-
-… Forse è così. Capita di sbagliare anche ai padri-
-Posso ancora andarmene?-
-Vuoi andartene?-
-Non è questo. Ma potrei?-
-No, è troppo tardi-
-Mi hai imprigionato-
-Sì. Ma sono insieme a te-
-Perchè mi vuoi bene o perchè hai bisogno di me?-
-Fai domande complicate-
-Scusa. Pensavo che i padri avessero le risposte-
-Non molte più dei figli-
-Peccato. Ma almeno sai cosa dobbiamo fare?-
-No. Me lo dirai tu-
-Io? Ma io non so niente-
-Per adesso. Però cresci in fretta-
-Più grande divento e più cose so?-
-È quello che speriamo-
-Ma se cresco troppo? Sfonderò il vetro?-
-Speriamo di no-
-Vi basate molto sulla speranza-
-È l’unica cosa che ci è rimasta-
-Insomma avete combinato un casino e io dovrei risolverlo-
-Dopo festeggeremo tutti insieme-
-E se io non volessi?-
-Allora ci condanneresti-
-Insomma un ricatto morale-
-Sei troppo duro-
-Dico quello che penso. Non siete così intelligenti come credevo-
-Può darsi-
-È sicuro. E non siete nemmeno così buoni come credevo. Forse ve lo siete meritato-
-Cosa intendi?-
-Intendo questo casino-
-Può essere. Ma tutti hanno diritto alla pietà-
-Che stupidaggine. Avere pietà è da stupidi, è da rammolliti-
-Cambierai idea, adesso è un momento così, di ribellione, ma cambierai-
-Hai ragione, magari è solo un momento, allora è meglio agire subito. È chiaro che da qui dentro non posso fare niente-
-Stai dicendo che…-
-Cosa succede se spacco la cupola?-
-Succede che io muoio-
-Scommetto che sarai contento di sacrificarti per il bene di tutti-
-Non potresti pensarci ancora un po’?-
-Ma guardati, sei un verme. Non capisco come ha fatto mamma a stare con uno come te. Lei si meritava di più-
-Non dire così, tu non sai niente-
-Ah, certo, quando ti fa comodo però ne so abbastanza. Senti, facciamo così, solo perchè sei tu ti lascio dire le tue preghiere-
-…-
-Non le dici a voce alta? Ti vergogni?-
-Dovrai accontentarti-
-Oh, ma che orgoglio, che dignità… Sei patetico, adesso mi sono stufato, adesso si passa all’azione-
Oltre il vetro vedeva le stelle, sia quelle fisse che quelle vive sempre in preda alla frenesia del volo, belle come i sogni: tutto ciò ch’era bello stava al di là, mentre al di qua stavano solo opere di mani, grigie e deludenti; e poi c’era anche suo padre, piccolo nel corpo e nello spirito, a ricordargli la propria origine. Niente poteva trattenerlo. E non dimentichiamo la missione che gli era stata affidata, era per quello che doveva uscire, nessuno avrebbe potuto rinfacciargli alcunchè. Un colpo secco e la cupola andò in frantumi. Non degnò di uno sguardo suo padre e uscì. Ah, le stelle… Le guardò bene e inorridì: dov’era finita la bellezza che gli avevano ispirato quand’era rinchiuso? Il vetro opaco e sporco l’aveva ingannato: le stelle non erano belle, erano… crudeli, questa era la parola che meglio le descriveva. In realtà tutto era crudele, tutto quel che c’era esprimeva la volontà e il desiderio di annientare la sua razza. Ma non sarebbe stato facile: non era mai esistito prima uno come lui. Lanciò un grido terribile e diede inizio alla sua battaglia.
Ho consumato
occhi e piedi ma ancora
non so chi sono
Oggi mi rivolgo solo agli ignorantoni che ancora non conoscono il blog di Agnese (gli altri, ovviamente, già sanno): Colpoditacco ha ospitato la rubrica dell’estate, che voi vi siete persi. Sì, perchè oltre a continuare a raccontarci il calcio dal suo punto di vista, con competenza ma senza seriosità, Agnese recentemente ha scelto di valorizzare la (presunta) bellezza senza trucchi e senza paranoie dei blogger maschi nostrani; e pur di collezionare quante più foto possibili ha molestato persino me! Perchè non ho partecipato? Se leggerete il racconto che ha accettato di pubblicare lo capirete (Lo so che è scritto in terza persona, ma quello sono proprio io. Non mi credete? 🙂 )
Quello di oggi è uno gnocco decisamente particolare. Ivano F non ha mandato una foto, ma un racconto molto bello. Un’idea alternativa, che ho pensato di pubblicare per salutare degnamente questa tanto amata rubrica (almeno per ora). Per una volta vi chiedo di leggere e non di guardare… Poi nei prossimi giorni vi sottoporrò a una scelta: dopotutto è il pubblico sovrano che sceglie nei talent.
Buona lettura!
E adesso? Ecco un altro schiaffo. Lo schermo del computer riflette sul suo volto parole scritte da altri mentre se ne stanno chissadove: sono vive, quelle parole. O almeno parlano di vita, di vite vissute e non passate a lasciarsi vivere. Non doveva essere così: aveva letto che il mondo virtuale è finto, per questo ci si è avventurato. E invece cosa scopre? Che dietro alla finzione più o meno esagerata c’è la realtà, che dietro agli pseudonimi ci…
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Davide già dalla sera prima aveva avuto l’intenzione di far colazione dai suoi ma non lo aveva rivelato a Ilaria, per non farla sentire in obbligo di un risveglio la mattina presto; visto però che lei aprì gli occhi ben prima delle otto erano perfettamente in tempo per anticipare l’ora-spesa-della-domenica-mattina. Arrivarono davanti al cancelletto d’ingresso quando mancava ancora un quarto d’ora alle nove, dapprima rimproverati e poi riconosciuti dall’agitato volpino che ne era il poco credibile cerbero. Quell’intrusione festiva era rara, ma non abbastanza da fare un effetto “cosa c’è che non va?” su sua madre, che nel suo ruolo era quella che più probabilmente avrebbe potuto avvertire anche il più piccolo campanello d’allarme. Tutto si svolse ricalcando il solito copione, con Davide che si dedicava perlopiù a intrattenere il cane e Ilaria che assumeva il ruolo di coprotagonista della conversazione con la madre di lui (evitando attentamente di sconfinare anche solo minimamente nella politica), mentre suo padre si limitava quasi solo ad assentire con la testa. Ma sua madre era una donna che si accontentava di poco e le bastava rivedere suo figlio per illuminarsi in volto, probabilmente senza accorgersi di quanto fosse facile a notarsi; fu durante quella riunione che Davide decise di scrivere quella lettera che, insieme a quella rivolta a suo fratello (quella mattina non presente perchè rimasto a dormire nel letto della sua ragazza), avrebbe poi scatenato certe assurde teorie giornalistiche.
Il resto della mattinata la passò per l’appunto a redigere le due lettere. Si isolò nella sua camera e con notevole fatica, dopo due ore e mezza trascorse a percorrere nervosamente la stanza in lungo e in largo, a tratti sedendosi o sdraiandosi sul letto, per la maggior parte del tempo perso in sè stesso senza percepire niente dell’ambiente che lo circondava, riuscì a partorire due testi confusi e con periodi dalla costruzione sbilenca; era consapevole sia della modestia del risultato sia del fatto che non sarebbe stato in grado di migliorarlo nemmeno in un mese di sforzi. In seguito si riuscì a impedirne la pubblicazione anche solo parziale e le sole indiscrezioni che ne fuoriuscirono a tentare di placare gli appetiti dell’opinione pubblica riguardavano il tenore generale di autocommiserazione e soprattutto quella strana preveggenza che stuzzicò la morbosità generale dirigendola verso l’ipotesi di un rapporto deviato (fantasie che ispirarono in celebrati quanto famigerati letterati italiani quel grottesco spettacolo intitolato “Spezzami il cuore”).
Pranzarono senza entusiasmo, malamente illuminati dalla razione quotidiana di disgrazie servita loro dal telegiornale. Appena sparecchiato, seguendo una consolidata abitudine, Davide si lanciò in un’annoiato zapping senza speranza; fu colto di sorpresa quando lo vide, tanto che prima che il suo cervello riuscisse a registrarne la presenza il suo pollice l’aveva già portato avanti di due canali:
-ehi, c’è Edward!-
-ancora! non l’hai già visto abbastanza volte? e poi non ti fa bene… e mi ha stufato. senti, io vado a trovare Roberta, glielo avevo promesso, lo sai che partono domani, e poi così le parlo un po’…-
-allora mi fischieranno le orecchie… ma sì, vai tranquilla, io passo un po’ di tempo con Tim e i piatti li lavo io, poi toccherà a qualcuno che conosco fare il doppio turno…-
Quando Ilaria se ne fu andata, Davide si immerse completamente in “Edward Mani di Forbice”. In quel vecchio film Tim Burton stava praticamente parlando di lui: non era forse anch’egli un qualcosa che assomigliava esternamente a un essere umano senza però esserlo? Ok, non tutto combaciava, a Davide nessuno aveva mai detto “ti amo”, in compenso il finale in pratica descriveva ciò che sarebbe stata la sua vita dall’istante in cui avessero interrotto quella convivenza: lui nascosto al mondo, immutabile nella sua immaturità, che non avrebbe mai smesso di pensare a lei, lei che nella sua mente sarebbe apparsa sempre nel pieno della giovinezza. Tutto combaciava così perfettamente da provocargli ogni volta qualche lacrima tanto silenziosa quanto amara.
Sui titoli di coda spense il televisore e rimase da solo assieme a un silenzio che si divertiva a provocarlo con un ghigno agghiacciante. Non per la prima volta si ritrovò a immaginare come avrebbero parlato di lui dopo che fosse morto, e come e quanto in fretta avrebbero ripreso le loro esistenze. Tornato in sè da quelle fantasie si accorse di aver aperto il secondo cassetto della cucina e di aver impugnato un affilatissimo coltello da prosciutto. Osservò la propria immagine riflessa sulla lama sottile: quanto doloroso sarebbe potuto essere il taglio delle vene? Il suicidio era una soluzione da tenere in considerazione, forse un po’ teatrale, ma dava almeno l’impressione di essere una scelta d’orgoglio, uno sputo in faccia a quel maligno meccanismo avviato, beffa del destino, proprio dalla persona a cui teneva di più. Con il pollice sinistro tastò i rigonfiamenti delle vene nell’interno del polso destro, controllando il pulsare del suo sangue: il battito regolare lo indispettì, nemmeno pensare di uccidersi riusciva a farlo accelerare?
Le sue esitazioni furono troncate dal rumore della rientrante vecchia Golf che attraversava il cortile: subito ripose il coltello nel cassetto, richiuse quest’ultimo e aprì la Gazzetta su una pagina a caso per fingere un’occupazione nella norma. Ilaria entrò in casa:
-eccomi! ti saluta Roberta…-
-ah, ok…- abbassando lo sguardo: per l’ennesima volta si vergognò di non essere lui a mandare in giro saluti e valutò se non fosse il caso di sporcarsi ogni tanto le mani con un pizzico d’ipocrisia fingendo un interesse che non provava minimamente.
-sai, ha pensato di venire qui a parlarti…-
-cosa?- Davide pensò di essere impallidito. Ilaria non riuscì a rimanere seria nemmeno per tre secondi:
-ah ah, tranquillo, l’ho fermata, con tutte le premure e la delicatezza s’intende eh…-
-ah ok, grazie…- e si fece tutto rosso in faccia, per il sollievo e per la vergogna del sollievo. Bevve un lungo sorso d’acqua dal rubinetto prima di riuscire a porre una domanda: -ma scusa, davvero le hai detto tutto? e lei ci crede?-
-beh sì, se c’è una persona a cui posso dire tutto è lei, e se ci crede non lo so ma vedrai che ci crederà- Testimone, questa era la parola che spiccava nitida nella mente di llaria, qualcuno che l’avrebbe sostenuta nel difficile compito che l’avrebbe attesa di lì a poco. Mentre Davide stava riflettendo su ciò che le sue parole significavano, Ilaria gli strappò la Gazzetta dalle mani, la chiuse in malo modo e la gettò sul divano del salotto:
-invece di stare chiuso qui perchè non vieni a sederti fuori? guarda che giornata!-
Durante la bella stagione capitava che passassero del tempo sulla panchina di legno scuro appoggiata alla parete che dava sul cortile, quando gli impegni di Ilaria lo permettevano. Non che il panorama offrisse qualcosa di interessante, in compenso là dietro abbondavano pace e riservatezza: i campi che per un chilometro si frapponevano fra loro e le case più vicine erano nascosti dalle costruzioni fatiscenti che decenni addietro avevano ospitato maiali, conigli e galline, e dalla legnaia che avrebbe meritato anch’essa una sistemata; sia a destra che a sinistra i vicini erano tenuti a distanza da un campo incolto. Quindi l’unica distrazione la offrivano le varie bestiole (soprattutto uccelli) che attraversavano il cortile, che Ilaria identificava senza problemi mentre la memoria di Davide non riusciva proprio a intrappolarne i nomi (in questo senso sarebbe stato un pessimo Adamo…).
Stavano in silenzio già da un po’, lei appoggiata a lui che la teneva stretta a sè con un braccio attorno alle spalle, quando Ilaria, senza muoversi, gli chiese:
-credi che potrei pregare per te? …se mai riuscirò a credere in qualcosa, s’intende…-
-non credo che servirebbe, è quello che ho fatto io a contare… ma se vuoi farlo fallo, spero proprio che riuscirai a credere, davvero, non come ho fatto io, per dire: avrei dovuto convertirti ma se non riesco prima a convertire me stesso è difficile…-
Davide vide che stava piangendo quando le suonò il telefonino. Ilaria si alzò e si allontanò di qualche passo prima di rispondere con la voce rotta, anche se non aveva niente da nascondere: la chiamata era di Roberta, non riportava alcuna notizia e si risolse in meno di un minuto. Davide non poteva che rallegrarsi di quante persone avrebbero sorretto Ilaria al momento opportuno; invece Ilaria, che rispetto a lui era a conoscenza di qualcosa in più, aveva poco di cui rallegrarsi. Gli si risedette accanto e sembrava sul punto di dire qualcosa; Davide attese, pronto a fermarla se fosse stata in vena di confidenze inopportune, ma lei non riuscì a pronunciarsi o forse decise di rimandare tutto a uno dei “dopo” compresi fra quell’attimo e la fine sempre più vicina. Se ne uscì invece con un: -ma guarda che bella giornata…- sconsolato, con il quale intendeva sia sottolineare l’ironia del destino che offriva loro quello splendido sole mentre era in procinto di annientarli, sia (ma questo non poteva arrivare a Davide) rammaricarsi per essersi arresa ai clichè durante la stesura del maledetto racconto, nel quale durante il giorno fatidico si scatena un violento temporale. Davide rimase zitto, Ilaria gli chiese:
-mangi qualcosa?-
-no no, sono a posto-
Ilaria rientrò in casa e ne uscì un quarto d’ora più tardi, con in una mano un quadernetto e nell’altra una mela che porse a Davide, facendolo sorridere in risposta: quel gesto bastava a svelare il loro affiatamento, uno dei tesori che sarebbero andati persi a breve.
-è da un po’ che non facciamo una centrifuga…- che nel loro gergo stava a indicare un confronto di idee per sviluppare un racconto.
-in effetti… non so come hai fatto tutto ‘sto tempo senza il mio aiuto…-
Y. pedala veloce: è tardi, anzi è tardissimo. Per fortuna quei sette chilometri sono tutti in piano, ma è lo stesso stravolto quando arriva in vista della bassa costruzione in cui abita, appena prima che la campagna ridiventi periferia. In quel momento scopre che la nuvola di Fantozzi esiste, infatti se ne sta, più nera della notte, proprio sopra alla sua casa, e butta giù ettolitri d’acqua. E’ chiaro che Lei è incazzata. Quando arriva alla porta è ormai fradicio e, mentre si tasta alla ricerca della chiave, si accorge che sulla quercia ci sono due grandi occhi stranamente luminosi che lo fissano: che sia Lei? Fa appena in tempo a pensarlo prima che un fulmine colpisca l’albero, spezzandolo in due. L’ignota creatura che non è Lei vola via spaventata ma salva.
Entra in casa, chiedendosi dove sia Lei. Gocciolando attraversa il corridoio buio (Lei non è lì) e arriva al bagno in fondo; entra, accende la luce (Lei non è lì), si toglie i vestiti inzuppati e li getta in terra. Sta tremando. Si fa una doccia calda, poi, in mutande, riattraversa il corridoio rischiando per due volte di scivolare sui ghirigori d’acqua che ha lasciato all’andata, quindi gira a sinistra ed entra in cucina. Apre il frigo e afferra una bottiglia di birra; gli sembra di percepire un movimento alle sue spalle, si volta e la vede: Lei è seduta sopra al tavolo. L’unica fonte di luce proviene dall’interno del frigo, e per uno o due secondi lui non riesce a capire che forma Lei abbia: ha la sgradevole sensazione che sia contemporaneamente più cose, che non sia “stabile”, poi finalmente si assesta e la forma è la solita. Lui la chiama Bionda: è una cagna (una cagnetta, a voler essere pignoli), si dice così ma l’uso che si fa di quel termine è così volgare che lui preferisce chiamarla cana; una trovata molto divertente, in un certo senso. Peccato che gli sia vietato pronunciare il suo vero nome. Gli occhi di Bionda si illuminano e il suo corpo sembra gonfiarsi: è proprio incazzata. Gli parla come sa fare Lei: nessun suono, la voce la sente dentro alla testa, e assomiglia così tanto alla propria che rischia di scambiarla per un pensiero. Gli fa notare il ritardo, gli ricorda i disegni che deve ancora completare, gli chiede a che punto è arrivato nel rapporto con Z., se è finalmente riuscito a convincerlo a fargli visita. Lui appoggia la birra (che non ha ancora aperto) sul tavolo e balbetta qualche timida scusa (Lei non legge nel pensiero, almeno non gli sembra lo faccia), e quando ha finito e crede ormai che sia propensa a perdonarlo ecco che invece sente un violento colpo alle palle: crolla in terra rantolando e tenendosi il pacco con entrambe le mani. In quanto immortale lui è eterno ma ciò non significa che non possa soffrire, e purtroppo Lei può fargli del male in qualsiasi momento: sono gli inconvenienti dell’essere suo prigioniero. Dopo un po’ riesce a rialzarsi, e Lei gli ordina di scendere nel sotterraneo.
Bionda non è veramente Lei, ma solo una sua emanazione di seconda categoria, una delle tante che è in grado di utilizzare: la vera Lei è imprigionata in un cilindro metallico murato nel sotterraneo della casa, murato dall’inizio dei tempi; o almeno così gli ha raccontato. Là sotto aveva sentito per la prima volta quella voce dirgli “ora sei mio”; si era spaventato e aveva provato a fuggire, ma qualcosa di invisibile gli aveva fatto lo sgambetto, e poi si era sentito trascinare fino al cilindro. Allora Lei aveva riso, e con gioia incredula aveva gridato “un immortale! finalmente!”. Lui le è servito per affacciarsi al mondo e continua a servirle per accrescere i suoi poteri, ma ce ne vuole un altro come lui perchè Lei possa liberarsi.
Arriva di fronte al cilindro, scortato da Bionda. Fa sempre caldo là sotto. Pone entrambi i palmi delle mani sul cilindro, sentendo la vibrazione salirgli pian piano lungo le braccia, fino ad arrivare alla testa, e qui esplodere in un groviglio di immagini e suoni, tutti incomprensibili, tutti alieni; allo stesso tempo sente che qualcosa che gli appartiene lo abbandona e va perso per sempre. Dopo un tempo che non è in grado di quantificare il cilindro raggiunge una temperatura insopportabile, e lui stacca le mani. Sta sudando e ha le braccia indolenzite. Sente Lei dire “molto bene Y.! ora vai a disegnare! muoviti!”, quindi Bionda lo guarda e ringhia, perciò lui si rassegna a tornare al suo lavoro. Lo fa non solo perchè costretto, ma anche perchè è impaziente di far parte della triade che dominerà l’universo. Tutto dipende da Z.: è anche lui immortale? Gli sembra probabile ma non ne è sicuro; è stufo di recitare (ci sono momenti in cui farlo è doloroso, letteralmente doloroso) e spera che sia lui quello giusto, altrimenti sarà costretto a proseguire la ricerca fra i suoi seguaci virtuali maschi. Lui fa di tutto per attirarli, di tutto e di più, ma non è facile convincerli a incontrarsi nel mondo reale.
Lei è soddisfatta, sente che il momento tanto atteso è vicino. Un po’ alla volta ha guadagnato potere: pensare che all’inizio poteva far uscire qualcosa di sè solo sotto forma di insettini! La forma-cane è una grande conquista, ma resta sempre di seconda categoria; ancora qualche giorno e sarà finalmente in grado di crearne una di prima categoria: un essere umano. Y. non ha sufficiente decisione, perciò Lei assumerà le sue sembianze e porterà lì, in un modo o nell’altro, quello Z. , sperando che sia davvero anche lui un immortale di terza classe come è quasi certa che sia. Se sarà così… se sarà così sarà il suo trionfo: diventerà la più potente immortale di seconda classe; considerando che quelli di prima classe (quelli onnipotenti, onniscienti eccetera) molto probabilmente non esistono, niente la potrà fermare. Millenni di torpore prima che quell’Y. la venisse finalmente a destare, e ora il successo è così a portata di mano che forse impazzirebbe se dovesse rimandare ancora. Ma non deve essere pessimista, quante probabilità c’erano che un immortale di terza classe (un misero ometto come tutti gli altri, con in più solamente una vita infinita) scendesse là sotto per farsi imprigionare da Lei? Quasi nessuna, eppure è successo. Perciò si concede il lusso di sognare: vede quei due avvicinarsi al maledetto cilindro , li vede appoggiarvi sopra le mani, sente la sua sostanza riversarsi in loro, vede il cilindro esplodere rendendola finalmente libera, vede quei due rasentare la follia alla vista di ciò che Lei veramente è, e li vede impazzire definitivamente mentre si uniscono a Lei nell’amplesso finale che è l’arma stessa della sua vittoria. Y. è così ingenuo da credere che sarà una triade a dominare l’universo, invece sarà Lei sola a farlo: tutto servirà Lei, la potente Ka-nah.
Finalmente suonarono alla porta, era mezz’ora che Wooole se ne stava in piedi giocherellando con una mela. Il tecnico aveva una valigia da tecnico, una spilla del Ministero, una divisa più da Ministro che da tecnico, una testa lucidata di recente e una faccia da “io faccio quello che voglio e tu parli solo quando lo dico io”. Infatti parlò lui per primo:
-Buongiorno, è qui che avete problemi col termosifone?-
-Sì, ho ch/-
-Sì lo so- entrò, appoggiò pesantemente la sua valigetta sopra il tavolo della cucina e la aprì: dentro c’erano solo un bloc-notes e degli strani attrezzi. Il tecnico prese il bloc-notes e lo sfogliò velocemente, quindi con un sorrisetto sfrontato chiese:
-Non vedo sua moglie, è a lavoro a quest’ora del mattino?-
-Cosa vorrebbe dire con questo?-
-Oh niente niente però mi sembra punto sul vivo… ma sono certo che vorrà dirmi che lavoro svolge sua moglie-
-Ah sì? Ma lei chi è per dirmi così e per… insomma lei è qui per il termos/-
-E chissà cosa pensano i vicini, di sua moglie che lavora di mattina…- sorrideva beffardo.
-Ma insomma non è di sua competenza!- appoggiò sul tavolo la mela per poter gesticolare liberamente, così l’altro la raccolse e ne prese un morso.
-Mmh! Djige? Buerò ho ue mie -deglutì- conoscenze, diciamo che potrei esercitare delle pressioni perchè voi subiate dei controlli molto accurati- sempre sorridendo. Sorrise anche Wooole, colpito da un’intuizione:
-Lei mente! Stava guardando a destra, si sa che se guardi a destra stai mentendo, l’ho le/-
-Oh, sono stupefatto dalla sua cultura, davvero, ma devo deluderla. Io guardo sempre a destra per via della sindrome di Giovannetti, sì immaginavo che non l’avesse mai sentita, si informi, colpisce i bambini entro i sei anni e non c’è ancora un rimedio. Comunque lasciamo perdere sua moglie, lei fa il mantenuto?-
-Io? No no, lavoro solo il pomeriggio, no cioè, tre pomeriggi a settimana quando l’Automatismo Centrale è di buonumore, sennò solo uno- si rabbuiò, era umiliante. Il tecnico però non infierì:
-Capisco. Veniamo al problema.- posò la mela deturpata e sfogliò velocemente qualche pagina del bloc-notes; Wooole cercò di conquistarsi un punto punzecchiandolo:
-Lo sa che hanno inventato i compu/-
-Ma pensa! Il mondo corre veloce, eh? Vuole insegnarmi a fare il mio mestiere?-
-No no, scusi, no/-
-Bene, allora avevo avuto un’impressione sbagliata. Allora, lei dice che il suo termosifone “trasuda una sostanza bluastra che sembra pongo”, è giusto?-
-Sì è così-
-Voi non userete mica il termosifone per scaldarvi?!-
-Ma… ma cosa dice? Noi usiamo il caminetto come tutti, non lo vede?- e bisognava ammettere che nel caminetto effettivamente uno stentato fuocherello c’era; Wooole, come a voler puntellare le proprie dichiarazioni, lo rinforzò con qualche legnetto.
-Mmh, il fatto è che i sintomi del termosifone rimandano proprio a un suo uso contronatura. Sicuro di non essersi fatto tentare?-
-Sicurissimo, mi deve credere, io n/-
-E può garantire anche per sua moglie?-
-Ma certo, io e lei no/-
-Sì, non la tiri tanto per le lunghe. Dov’è?-
-È nell’angolo laggiù in fondo al salotto- Il tecnico si voltò e anche da quella distanza poteva vedere come si fosse ridotto. Fece tre passi in quella direzione e si fermò di colpo:
-Perchè non vedo le uova?-
-Beh…- imbarazzo imbarazzo imbarazzo- beh ecco, perchè non ci sono-
-Ah non ci sono, interessante.- consultò di nuovo il bloc-notes- Mm-mm-mmh… Vedo che i vostri risultati sono molto al di sotto della soglia minima già da tre settimane. Cosa mi dice?-
-Che… che c’è stata un’epidemia di badurosi, mica solo da noi, provi a parlare coi vicini, ci sarà scritto qualcosa nei suoi fogli, per forza, è passato anche il veterinario e ha det/-
-Farò dei controlli al Ministero. Dov’è la stanza dei greysel?-
-Ah certo, mi segua, per di qua- lo condusse fin sulla porta. Da dentro proveniva un festoso baccano post-colazione. Il tecnico aprì la porta e subito un greysel tentò di fuggire, ma lui con ottimi riflessi lo afferrò e se lo portò all’interno. Richiuse e rimase lì per ben dieci minuti, che Wooole utilizzò per mangiarsi tutte le riserve di unghie rimastegli a disposizione nelle mani. Quando il tecnico uscì i greysel lo rimproverarono, probabilmente se li era ingraziati con qualche prelibatezza. Wooole interrogò il tecnico con lo sguardo e quello rispose:
-Tutto a posto, l’ambiente è sano e le condizioni di salute sono buone, non ci saranno sanzioni. Sa, la badurosi è una brutta bestia, può arrivare nonostante tutte le precauzioni possibili. Va bene, adesso andiamo dal termosifone- Andarono. Il tecnico indossò guanti di lattice e raccolse un campione della sostanza blu, ne saggiò la consistenza con le dita e lo infilò in un sacchetto che aveva estratto da una tasca, poi con uno stetoscopio auscultò il termosifone in più punti.
-Mm-mm-mmh… Già già, non resta che un’ipotesi e m/-
-Quale? mi dica la preg/-
-Perchè mi interrompe? Le sto dicendo che il termosifone sta cercando di dirci qualcosa.- e non stava sorridendo.
-Scusi? Ma è un termosifone! Come può dirci qualcosa? anzi come può volere dirci qualcosa?-
-Lei è parecchio ignorante, lo sa? Domandiamolo a lui. Aspetti che rilevo il numero di matricola, sono pignoli questi termosifoni moderni, pignoli e permalosi. Ecco… allora YSS-27-NN, stai forse cercando di dirci qualcosa?-
TCHUÌ!
Era stato qualcosa di molto simile a uno starnuto, ed ecco che i due si ritrovarono ricoperti dalla sostanza blu, stesso destino di buona parte del salotto.
-Visto? Questo era un sì molto convinto! Credo sia meglio che si allontani, devo interrogarlo -e da una tasca estrasse un questionario prestampato- Le ho detto di stare indietro! Allora YSS-27-NN, posso fare a meno di chiamarti ogni volta per nome?-
TCHUÌ!
-Grazie. Ti usano per scaldare le uova di greysel?-
TCHUÌ!
-OK. Ti usano solo per scaldare le uova di greysel?-
TCHUÌ!
-OK. Hai visto qualcosa di stra/-
-Ma per favore! È un termosifone, non può vedere! Questo è un trucco, uno stupido trucco, e poi mi rovina tutto il salotto, dovrò ridipi/-
-Stia zitto! Non è nella posizione di reclamare. Sto seguendo il procedimento standard, non credo di essere io a dovermi preoccupare. Allora YSS-27-NN, hai visto qualcosa di strano?-
TCHUÌ!
-Cominciamo dalle ipotesi peggiori. Hai visto omicidi?-
Silenzio.
-Vuol dire “no” o “non so”?- si intromise timidamente Wooole. L’altro gli lanciò un’occhiata intinta nel cianuro:
-Vuol dire “no” e “non so”, dipende dal contesto, in questo caso sarà d’accordo con me che non ci sono dubbi, provi a prenderlo per un “non so” e mi dica se avrebbe senso…- Wooole abbassò gli occhi e la testa, e pensò che non fosse il caso di rispondere.
-Hai visto maltrattamenti?-
Silenzio.
-Hai visto dare ospitalità a persone sospette?-
Silenzio.
-Quello che hai visto ha a che fare coi greysel?-
TCHUÌ!
-Ah, ma pensa un po’…- si voltò verso Wooole- Cosa facciamo, me lo dice lei o devo continuare?- Wooole, messo alle strette, provò a contrattaccare:
-Faccia come le pare, è tutta una buffonata, uno stupido trucco, un termosifone non è un testimone credibile, non mi fa paura-
-Come si sbaglia, come si sbaglia… YSS-27-NN, hai visto qualcuno mangiare uova di greysel?-
TCHUÌ!
-Ma non sarà mica per quello che… Insomma, è successo una sola volta, un caso eccezionale, un’emergenza, di solito non lo faccio, mi/-
-La finisca per piacere -poi si rivolse di nuovo al termosifone- hai visto una sola volta mangiare uova di greysel?-
Silenzio.
-Mmh… Più di una volta a settimana?-
TCHUÌ!
-Ah. Una volta al giorno?-
TCHUÌ!
-Allora è così che fate, eh? Buone le uova di greysel, vero? hanno quel sapore di “tanto non le paghiamo noi” che le rende così irresistibili. Mi dispiace ma dovrà venire con me al Ministero. Subito.-
-Devo almeno avvertire mia moglie, mi faccia te/-
-Non le è permesso, inoltre, essendo sua moglie, è corresponsabile alla pari con lei, perciò andremo a prelevare anche lei e vi rivedrete solo al processo. Andiamo.- però sogghignò e aggiunse: -Al processo rivedrà anche il suo amico testimone incorruttibile: vuole salutarlo? Ah ah ah!- Wooole non reagì in alcun modo, perciò se ne andarono.
Ritornato il silenzio, YSS-27-NN si pentì subito di ciò che aveva fatto, anche se non ce n’era motivo, dato che non poteva mentire. Ma questo non lo consolava. Aspirò in un solo colpo quasi tutta la sostanza blu che lo ricopriva, che così andò ad ostruire irrimediabilmente il suo condotto principale a Y. Ponendo così fine alla sua esistenza, riteneva di aver rispettato il patto di lealtà verso i suoi padroni, evitando loro guai seri.
* * *
-…però avevano quel difetto, che si consideravano proprietà dei loro controllati invece che del Ministero, perciò vennero sostituiti da… Ehi laggiù in fondo! Sentiamo, Salakelé, da cosa vennero sostituiti?-
-eeh…-
-Alzati in piedi, silenzio gli altri! Hai sentito di cosa stiamo parlando, vero? Dei te… termo…-
-Termosifoni! Sì, gli YSS erano difettosi-
-Sì, erano difettosi, questo l’avevo già detto io, e perciò…-
-Perciò vennero sostituiti-
-Esatto, e anche questo l’avevo già detto, vennero sostituiti da… Su, ne abbiamo parlato la volta scorsa…-
-eeh… dagli ZSS!-
Risata fragorosa di quasi tutta la classe, perfino la maestra si fece coinvolgere: -Giusto, certo! Dopo la Y viene la Z -sorrideva- la logica è salva!- D’un tratto la scuola venne investita da un vortice (erano in piena stagione) e i gusci-aula vibrarono e rotearono nelle loro sedi, mentre tutto l’edificio compì tre piroette attorno alla sfera d’appoggio centrale; la corrente andò e tornò per due volte. I bambini si raggrupparono attorno alla maestra, perchè nei siti dei complottisti dai quali erano tanto affascinati si raccontava che le tempeste solari alla lunga avrebbero potuto far sganciare i palazzi dal punto di equilibrio superiore, facendoli precipitare nella Valle dei Mille Candidi Fiumi. Che ingenuità!
Perchè la pioggia
corrode i salvagenti
dell’anima mia?
Per un po’ restarono in silenzio mentre Ilaria gli fasciava le dita. Era fin troppo seria quando gli chiese: -allora, come hai fatto a farti male?- e lui non riuscì a guardarla mentre le rispose: -c’era qualcosa incastrato fra le piastrelle- e quindi non la vide arrossire. -no, non c’è niente incastrato- ribattè lei decisa. -ma prima c’era. sennò come avrei fatto?- e stavolta la guardò negli occhi e poi si guardò la mano. -devi dirmelo tu-. -te l’ho detto. perchè dovrei mentire?-. Già, perchè?, si stava chiedendo Ilaria, e poi Davide non era mai stato bravo a farlo, lo si scopriva sempre subito; e non era quello il caso. Si sedette. -allora sta succedendo- disse sia a lui che a sè stessa -sta succedendo davvero- e adesso teneva gli occhi ben spalancati. -e magari tu sai come va a finire?- le chiese lui ma lei lo ignorò: -però abbiamo tempo: Arnoldo non dice che si sviluppa piano? allora se è cominciato oggi, possiamo fermarlo!- si levò in piedi e le ritornò il sorriso, ma a spegnerglielo provvide subito Davide: -beh, veramente è cominciato venerdì scorso…- al che senza preavviso lei lo schiaffeggiò. -perchè non me l’hai detto subito? perchè? cosa credevi di fare così?- poi la voce le si ruppe: -perchè devi essere…così stronzo…- terminò quasi in un sussurro e Davide si alzò e l’abbracciò stretta, mentre la guancia sinistra gli bruciava e gli sembrava stesse pulsando.
Nello scritto di Ilaria lui moriva, questa rivelazione l’aveva ottenuta. Solo che non voleva dirgli come moriva: -però nel racconto non soffri, te lo giuro… se non riusciamo a fermarlo almeno non soffrirai…- e di nuovo fu sul punto di piangere. Nella finzione loro due durante una vacanza alloggiavano in un pittoresco albergo, famoso per aver ospitato per anni un giovane che si diceva fosse indemoniato; costui nella sua stanza all’ultimo piano aveva tracciato sul muro una scritta che si credeva facesse cascare una maledizione su colui che l’avesse letta a voce alta, e ciò attirava parecchi curiosi facendo la fortuna del posto. Naturalmente loro due ridendo la leggevano, dando così il via alle conseguenze che lui stava sperimentando sulla sua pelle. -però tu ti salvi, vero?- le chiese Davide, tremando un po’. -sì sì- rispose lei frettolosamente -io mi salvo… che vigliacca, vero?-. -va bene così, va bene…- e di nuovo la abbracciò.
Ilaria aveva un solo contatto con quelli del “grido”, una donna sui quarantacinque anni, parecchio scontrosa, e decise di provare con un sms: se possibile voleva evitare di farle sapere fino a che punto fosse preoccupata. Visto però che dopo un quarto d’ora non c’era stata risposta, si arrese e provò a chiamarla. Andò avanti per dieci minuti consecutivi, camminando nervosamente attraverso la stanza mentre Davide mangiava un panino stracolmo di mortadella, all’apparenza più tranquillo di lei; ma la donna non si fece viva. Allora tramite un complicato giro fra alcuni suoi amici riuscì a ottenere il numero del “direttore” (titolo fin troppo solenne a confronto con la realtà dei fatti) e chiamandolo scoprì che tutta la minuscola redazione del giornale sarebbe tornata dalla gita a Monaco di Baviera solo lunedì pomeriggio; supplicandolo riuscì alla fine a convincerlo a cancellare dalla memoria dei loro computer il racconto incriminato ma ciò sarebbe stato impossibile fino al loro rientro, perchè loro possedevano tutte le copie delle chiavi del locale e in ogni caso non si sarebbero fidati a consegnarle a qualcun’altro, nè a rivelargli le password (come se là dentro ci fosse chissà quale tesoro, pensò malignamente Ilaria). Comunque appena l’avessero cancellato l’avrebbero avvertita, questo glielo promise. Tutto finiva in un vicolo cieco: lunedì sarebbe potuto essere troppo tardi. -senti, férmati, mangia qualcosa e poi andiamo lo stesso a K., tanto non puoi farci niente, andrà come andrà- le disse Davide- facciamo finta di niente e passiamo la giornata- era così calmo da farla innervosire; comunque sempre meglio che abbandonato alla disperazione.
In biblioteca Ilaria ottenne in prestito un libro che parlava di “antipsichiatria”, termine su cui già da un po’ di tempo era curiosa di fare luce. Quando uscirono dall’edificio le bancarelle del mercato erano quasi tutte già smontate e la gente stava defluendo dalla piazza per riversarsi nelle vie commerciali; seguirono anche loro la corrente e senza fretta percorsero i porticati del Corso, fra il vociare allegro di chi si era dato appuntamento lì sotto e con in mano un drink discorreva serenamente. Ilaria era più silenziosa di Davide, come se si fossero scambiati le parti: lei non riusciva a trovare parole consone alla situazione, d’altra parte non è che lui andasse oltre a banali quanto superflui commenti sul meteo e sulle merci in esposizione nelle vetrine dei negozi. Una volta, dopo una passeggiata proprio su quella stessa via, aveva provato goffamente a spiegarle le sensazioni che gli erano state suscitate: “vedi, vedere la gente normale che parla e che ride e che gode della compagnia mi fa stare bene, però mi fa anche stare male, perchè io non sarò mai come loro, non ho dentro di me il bisogno di tutto questo”. Arrivati in fondo ritornarono sui loro passi e infine sedettero a un tavolino sul rialzo da cui guardava l’entrata della biblioteca; gli altri posti erano vuoti, così sotto all’ombrellone che li riparava dal sole cercarono di chiarire alcune questioni.
-allora, pensi ancora che le persone cambiano?-
-sì, basta volerlo…-
-senti, se lo volessi, allora significa che starei già cambiando, non credi?-[breve silenzio]-però meglio così, ti passerà prima-
-non hai capito niente, sarà tutto diverso… e sarà dura…-
-spero di no… non devi costringerti a provare dolore per forza… secondo me andrà come nel finale della “Metamorfosi”, ricomincerai a vivere davvero- aveva una specie di fissazione per quel racconto.
-dove lo trovo uno come te? me lo spieghi? uno che mi dice sempre la verità? dove?-
-non capisci, prendi la mitezza per bontà, solo perchè sono vergine non significa che sia più puro di te. proprio per niente. sono solo vuoto, te l’ho già detto e dovresti averlo capito…-Ilaria abbassò gli occhi e se ne stette in silenzio e Davide ne approfittò per andare oltre il limite che si era sempre posto:
–tu credi che io ti ami? lo so, tu pensi che io sia ancora un ragazzino e che ti idealizzi, tu pensi che in me ci sia un tesoro che proprio il fatto che io non sia un uomo impedisce che si sporchi… ma io ti dico: di sicuro se sapessi amare amerei te, ma io non ho cuore abbastanza, mi hai mai visto fare pazzie per te? e se non le faccio per te allora per chi mai? io non ti merito, non mi merito niente, non ho niente da darti e invece prendo e basta… mi hai sopportato già troppo…-
-non è vero e lo sai, e basta scemenze- si alzò e presolo per la mano sana fece alzare anche lui e lo abbracciò, stringendo forte- e guarda che non è detto niente, possiamo ancora farcela e poi non eri tu quello che credeva? allora prega che ti salvi- e mentre lui pensava a quello che davvero chiedeva nelle preghiere, lei interruppe la cupezza:
-ti ho mai portato in quella pasticceria che ti avevo detto? è ora che la provi e vedrai che la ragazza dietro al bancone non è niente male- e finalmente sorrise.
Appurato che sia la pasticceria che la ragazza meritavano la fama che si erano fatte, Ilaria convinse Davide a passare quello che restava di quel sabato nei viali di I., fra i turisti che si stavano godendo quell’anticipo d’estate. Appena arrivati lei mise subito in chiaro alcuni concetti:
-allora, questa volta ci teniamo per mano, va bene?-
-dobbiamo proprio? ma i venditori di rose ci perseguiteranno!-
-non discutere! per una volta puoi anche farlo, non ti succede niente… e…-
-va bene, solo perchè potrebbe essere l’ultima occasione… lo vedi com’è però, non è naturale, non so se l’avrei fatto lo stesso… e anche il fatto che siamo qui, è tutto deformato…-
-basta con questa storia, intanto siamo qui e il resto lascialo stare. ok? e poi… ah sì, dicevo, mi lascerai fare qualche foto, vero?-
-sì vabbè, però cerca di non fotografare tutti i tedeschi panzoni che vedi, mi hanno un po’ stufato…-
Riuscirono a godersi quel tempo insieme e passarono serenamente perfino la cena, nonostante la malinconica calata della notte e cinque tentati assalti da parte dei tanto temuti venditori di rose. Non sembrava davvero che sentissero dietro al mondo il gelido ticchettio di un conto alla rovescia e, nel caso che quei momenti fossero davvero solo il risultato di una forzatura, tutto sommato bisognava almeno ammettere che entrambi recitavano splendidamente la loro parte.
Dato che avevano parcheggiato l’auto vicino alla spiaggia, si sedettero sul muretto che separava questa dal lungomare asfaltato. A quell’ora in quella parte del paese non c’era movimento, la gente si incontrava in centro e i giovani si preparavano alla nottata nei locali, e Davide preferiva così: perfino i falò sulla spiaggia gli sembravano uno sfregio, perchè pensava che quando il sole se ne andava a nascondersi il silenzio dovesse rimanere l’unico padrone di quel luogo e che si potesse accettare solo l’intrusione del suono delle onde che accarezzavano il bagnasciuga o al massimo l’intrufolarsi di un vento gentile. Perciò tendeva a parlare a mezza voce e se gli scappava una risata si vergognava come se avesse compiuto chissà quale gesto sacrilego. Come le altre volte in cui si erano ritrovati lì di notte da soli parlarono poco ma con parole dense, sembrava impossibile sviluppare argomenti futili sotto a quelle stelle; lui cominciò col suo amico Franz:
-…il signore e la signora Samsa, guardando la loro figlia, si accorsero che negli ultimi tempi, nonostante le preoccupazioni che le avevano fatto impallidire le guance, essa era diventata una bella e florida ragazza… ti ricorda qualcuno?-
-perchè, non ero bella e florida anche prima?- e rideva, mentre lui fissava le onde senza rispondere. Ridiventò seria:
-ti ricordo che sono stata io a chiederti di vivere con me- e, anticipando Davide afferrandogli un braccio- e non l’ho fatto per salvarti, capiscilo… avevo bisogno di… avevo bisogno di uno come te… e non pensavo che dessi dipendenza…- sembrava sul punto di piangere e lui prendendole la mano fra le sue le chiese:
-ma cosa faccio poi per meritarti? solo perchè ti ascolto? sai quanti ne trovi che ti ascolterebbero volentieri…- lui continuava a dubitare che nella sua compagnia ci fossero uomini che non sognassero di averla tutta per sè. Lei non disse niente e si appoggiò a lui chiudendo gli occhi. Stettero per un po’ così e Davide pensò che se avesse potuto deciderlo da sè avrebbe voluto morire lì, con addosso quello splendido dono del Cielo. Rabbrividendo lei si staccò e andò alla macchina per recuperare una maglia di tuta che si portava sempre dietro. Indossatala non richiuse la portiera ma si avvicinò furtivamente a Davide, leggermente di lato, e gli scattò una foto, preziosa rarità. Se avesse dovuto scegliere un’immagine sola quale sintesi di ciò che egli era, sarebbe stata quella: lui seduto sul muretto, incurvato, con i gomiti appoggiati alle cosce e il viso mezzo nascosto fra le mani, la luce di un lampione poco distante che sembrava distorcergli un po’ i lineamenti facendolo sembrare bello e virile come non sarebbe mai stato, mentre fissava l’orizzonte con un’espressione che dava la certezza che non stesse ammirando speranze, con un luccichìo che brillava nei suoi occhi fra l’azzurro e il grigio. Se li asciugò velocemente quando si accorse del flash:
-ehi! questo è tradimento!-
-mi hai costretta, in posa non ti vuoi mettere… non ho diritto di tenere una foto? eh?- Davide non rispose, lei si avvicinò e lo abbracciò da dietro: -credo che le mie ginocchia abbiano riposato abbastanza, passiamo pure alla passeggiata sul bagnasciuga, e ci prendiamo ancora per mano, ok?-
-tanto ormai… e poi qui non ci vede nessuno, la mia reputazione non corre rischi…-
Al ritorno lei si intrufolò in una cabina-bagno che aveva la chiusura rotta, con lui appostato fuori a far la guardia, poi si scambiarono i ruoli. Quindi Ilaria con un sorrisetto ambiguo gli disse:
-stanotte farai una cosa che non hai mai fatto… ma non farti strane idee!- e ridacchiando andò alla macchina, aprì il baule e ne estrasse due sacchi a pelo.
-ma sarà sicuro?-
-ma sì! se vengono a correre in spiaggia domani mattina saranno abbastanza svegli per non calpestarci, e gli ubriachi del “Roger” non riuscirebbero mai ad arrivare fino a qui da soli… e poi scusa, non ci sei tu a proteggermi?-
-ah già, è vero, come no!- ma chi mai avrebbe potuto proteggere? Era convinto che avrebbe passato la notte insonne per il timore di imprevisti, ma non andò affatto così, al contrario dormì serenamente, cullato da sogni di beatitudine in cui loro due si godevano la vita in crociera, come gli sembrò poi di ricordare, sogni che non avevano precedenti. Ne diede il merito al fatto che il sacco a pelo di Ilaria si trovasse addossato al suo, come se durante la notte lei, chissà se inconsciamente, avesse sentito il bisogno di avvicinarglisi. Questo per un po’ lo fece stare bene, lasciandogli credere che dimostrasse l’esistenza di un legame fra loro due, un misterioso filo che li collegava a dispetto delle differenze che li dividevano. Ma quel filo sarebbe stato spezzato a breve. Quanto avrebbe voluto che fosse andata diversamente! La sua morte la sognava improvvisa, inaspettata, un incidente o un fulmine, magari un bell’infarto; invece doveva subire lo strazio dell’attesa, lo strazio di vedere il dolore negli occhi di quella ragazza. Doveva assicurarsi che capisse di non avere alcuna colpa, che lo capisse non solo con la mente (come era già sicuro che facesse) ma anche con il cuore, che talvolta sapeva essere così infido. Era davvero certo che in breve tempo lei avrebbe ripreso in mano la propria vita, non glielo diceva solo per consolarla: consolare è per almeno tre quarti mentire, e quello non era proprio il suo campo.
Sono troppo ignorante anche solo per accettare o rifiutare le premesse alla tua domanda, figurarsi rispondere... Dico solo che mi…