Guardo gli uccelli
immaginare strade
verso la luce
(Mentre ero affacciato a quest’opera di Ysi)
“…non ci sarà altro a testimoniare la nostra esistenza. Forse il buio avrà davvero ricoperto tutto come la Splendida Signora ha promesso… thk! Splendida Signora ha… thk! Splendida Signora ha… thk! Splendi… sso. Ma se state ascoltando, allora avete riportato la luce, e forse lei è stata sconfitta. E allora forse vorrete sapere qualcosa di noi, di ciò che eravamo prima che qualcuno ci odiasse così tanto da volerci sterminare.”
Le ombre sulla figura della donna erano tutte sbagliate; la sua immagine tremolo’ lievemente. Dal buio oltre i bordi del cerchio illuminato si rincorrevano brontolii e ringhi modulati; numerose paia di occhi giallastri, e alcune di occhi azzurri, si aggiravano senza sosta. Ogni tanto qualcosa lanciava un verso molto simile a un grido, e poco dopo si sentiva una risposta arrivare da un punto più lontano. Proprio di fronte alla donna si era accesa una zuffa, e uno degli esseri si ritrovò con la coda e una zampa all’interno del cerchio; si ritrasse sùbito guaendo. Lei era in piedi e teneva un braccio disteso sul fianco, fino a toccare con una mano la lunga gonna a campana, residuo color avorio di un tempo che non sarebbe più tornato; con l’altra mano stringeva un ciondolo di legno appeso a una collanina dorata. Si voltò verso destra guardando qualcosa che oramai non esisteva più, negli occhi una tristezza consapevole. La luce si spense proprio mentre si voltava di nuovo, afferrando ora il ciondolo con entrambe le mani. La sua figura, così spettrale ora che risaltava nel buio, venne assalita dalle bestie: la attraversarono molte volte prima di rendersi conto che non era reale. Nel frattempo lei continuò il suo discorso, ostacolata dal nodo che le si era formato in gola:
“Purtroppo il… il tempo… non c’è abbastanza tempo… loro sono tornati…” La sua luminosità scese di una tacca, ma la lacrima che le attraversò la guancia si notava ugualmente. Si sentì qualcuno urlarle da lontano “Lascia stare quell’affare!”, lei sobbalzò per la sorpresa, e la registrazione si bloccò proprio mentre si stava asciugando la lacrima. Gli unici spettatori presenti non apparvero turbati dall’improvvisa interruzione dello spettacolo; due di loro scaricarono abbondanti getti di urina sull’obsoleto proiettore olografico a energia solare, coll’intento di coprirne gli odori precedenti. L’immagine si scurì di un’altra tacca, e dopo un minuto si spense.
* * *
A Gulden sudavano le mani, se le torceva aspettando che la ventiseiesima Splendida Signora gli parlasse; intanto malediceva fra sè la sfortuna, che l’aveva fatta arrivare lì in visita proprio mentre a lui era capitata quella svista. Lei gli sorrise da sotto i baffi voluminosi e sensuali, certamente tinti. Poi gli parlò, aveva una voce gracchiante da vecchia, disturbante in quel corpo artificialmente giovane:
-Come ti chiami, ragazzo?-
-Gulden Deh-Reinei, mia Signora-
-E da quanto tempo sei qui?-
-Tre mesi, mia Signora-
-E pensi che quello che fate qui sia di poca importanza, vero?- la Signora si alzò dal trono, si malignava che indossasse sempre quella tuta così aderente per assicurarsi di tenere assieme tutti i suoi organi, alcuni dei quali erano ancora gli originali. Lo superava in altezza di almeno venti centimetri, senza contare i picchi della sua anacronistica acconciatura.
Certo che lo penso, cazzo. Questa megastazione spaziale è la più vecchia fra tutte quelle in uso nella Signoria, e praticamente cade a pezzi. Non funziona niente qua dentro, tre quarti della stazione sono sempre al buio e passiamo il tempo fra la sezione affacciata su quello stramaledetto pianeta, la “cucina” e le nostre stanzette dove non c’è niente, niente di niente! E vuole sapere un’altra cosa? Non c’è nemmeno il servizio automatico di pulizia. Sì, qui ci sono ancora le cameriere! Che poi sarebbe il motivo principale per cui io sono qui, ma questo è un altro discorso, e tralasciamo il fatto che nessuno mi aveva avvertito che le cameriere sono tutte suore, credevo non esistessero più, le suore… E per cosa siamo qui, lontano da tutto e da tutti? Per osservare la faccia visibile di quel pianeta là, e tutto quello che abbiamo a disposizione sono delle telecamere più vecchie di me e un cazzo di programma altrettanto vecchio che sceglie le zone da illuminare. E questa specie di enorme carcassa la avete parcheggiata qui da venticinque anni. Venticinque! Ma dico io, ormai gli abitanti saranno finiti tutti nella pancia di quelle bestie, no? Allora se ci tenevate così tanto non sarebbe stata da tempo ora di scendere finalmente sul pianeta? Allora certo che penso che quello che facciamo non serve a niente, certo che lo vedo quanti rincoglioniti ci sono qui dentro, e te lo dico pure, quello che penso.
-Sì, lo penso- però abbassò lo sguardo mentre lo diceva, anche perché quell’occhio artificiale lo turbava non poco.
-L’Eclissi è qui da prima che tu nascessi, lo sai vero? Sei ancora un ragazzino e forse non ti è chiaro che, pur essendo Signora, non posso fare quello che voglio. Avrai sentito parlare del Senato, voglio sperare-
-Sì- continuava a tenere lo sguardo basso.
-Se fosse per me avremmo una dotazione migliore sull’Eclissi, ma loro hanno deciso di aprire tutti quei fronti e non gli importa che qui ci siamo giocati un po’ del rispetto verso la Signoria, figuriamoci se li posso convincere a finanziare il mio odio. Ma ti garantisco che per me ha molta importanza, vedi di fartelo bastare-
Gulden non disse niente.
-Secondo te perché illuminiamo ogni zona solo per trenta secondi?-
-Non lo so perché, so solo che così mi hanno detto di fare-
La Signora si voltò di scatto verso il comandante, che si fece paonazzo; poi tornò a dedicarsi a Gulden:
-Vedo che non sei preparato. Se ho fatto costruire l’Eclissi e l’ho fatta piazzare in questa orbita a togliere la luce a quello schifoso pianeta è perché quelli là dipendevano unicamente dall’energia solare. Perciò qualsiasi congegno abbiano mai potuto ideare, qualsiasi cosa che possa nuocerci può funzionare solo per mezzo della luce. Chiaro? Quindi basta assicurarsi di non puntare il raggio per troppo tempo sulla stessa zona e non ci sono problemi: prevenzione, si chiama. Solo che tu oggi non te ne sei assicurato. Ti rendi conto, spero, che il tuo lavoro potrebbe svolgerlo anche una scimmia di Ggo-ha, e che perciò l’unica cosa che ti viene richiesta è la concentrazione. Dove starebbe la difficoltà? Ti basta tenere premuto un pulsante per trenta secondi, dare un’occhiata nel monitor e decidere se quello che vedi vale la pena di essere indagato più a fondo o no. Invece tu lo hai tenuto premuto per tre minuti, TRE MINUTI! perchè magari stavi pensando a quello che ti piacerebbe fare a una delle suore che puliscono il porcile che lasci nella tua stanza, anzi a quello che faresti a due suore contemporaneamente, puoi star sicuro che ti conosco bene anche se non so chi sei, ne ho già visti parecchi di personaggi come te… Allora, secondo te cosa dovrei fare adesso?-
-Secondo me? Ora che so come stanno le cose starò più attento, mia Signora, lo prometto. Le chiedo umilmente perdono- si inginocchiò esageratamente al suo cospetto, fino a toccare il pavimento con la fronte. Lei si tormentò gli splendidi baffi per nascondere un accenno di sorriso, però Gulden rovinò tutto rialzandosi senza aspettare il permesso, e soprattutto arrischiandosi a fornire consigli non richiesti:
-Però credo che dopo venticinque anni abbiamo controllato tutto ciò che si può controllare, credo sia ora di piantarci la bandiera della Signoria-
-Scommetto che non hai mai sentito parlare di quel tuo collega, vero? Saranno passati dieci anni ormai… La gente dimentica in fretta, allora credo proprio sia giunta l’ora di un nuovo promemoria, se vogliamo che gli altri prendano sul serio questo lavoro. Ragazzi!- battè le mani e i due bestioni in divisa, che in tutto quel tempo non avevano mosso nemmeno un sopracciglio, afferrarono Gulden per accompagnarlo al suo triste destino.
Quel ragazzino! Cosa ne sa dell’odio, lui? Lui non c’era trent’anni fa, non ha visto l’insolenza di quei primitivi! Potevo prendermi tutto e invece ho offerto loro la salvezza, e loro hanno osato ridermi in faccia. In altri tempi avrebbero pagato sùbito, in altri tempi non avrei avuto un Senato fra i piedi. Che ne sa quel ragazzino! Non ha mai avuto a che fare con quella congrega di culi flaccidi, gente cresciuta nel benessere che la mia famiglia ha creato, gente senza nemmeno un minimo senso dell’onore, che non sa niente di come si gestisce una Signoria durante una guerra, e così aprono fronti a casaccio, fanno e disfano alleanze senza una logica e allora gli servono uomini e mezzi, sempre più uomini e sempre più mezzi, e non riescono a far altro che rendersi ridicoli, tanto poi è il nome della mia famiglia a essere infangato, loro nessuno li ricorderebbe comunque. E così per la mia vendetta non ho avuto armi a disposizione. Ho dovuto aspettare, mi sono dovuta accontentare di una stazione fatta con gli avanzi, di ufficiali che non sono altro che scarti, e di operatori che sono scarti degli scarti. Sarebbe bastato un mese e invece ci ho messo cinque anni, ma ce l’ho fatta. Quanto ho riso quando questo ammasso di ferraglia ha portato il buio fra quegli ingrati! Se prima avevano un pianeta con una faccia oscura, ora avevano tutto un pianeta oscuro, ora quelle bestie li potevano assalire ovunque. Il momento più bello della mia vita! Cos’è stata l’incoronazione a confronto? Quella non me l’ero goduta, ero troppo giovane per capire, troppo spaurita. Invece riportare le cose nel giusto corso, quello sì che è stato sublime, sentire che tutto scorreva di nuovo perfettamente, sentire in me gioire tutti gli avi, come una vibrazione in armonia col cosmo… Che ne sa quel ragazzino! Forse che non avrei voluto calpestare quella terra il prima possibile? Forse che non avrei voluto ridere in faccia ai cadaveri di quei mentecatti, accovacciarmici sopra e pisciargli addosso? Ma lui non lo sa cosa vuol dire fare lo stesso incubo per trent’anni, no, come potrebbe saperlo? Non lo sa cosa vuol dire morire ogni notte, non lo sa cosa vuol dire trovarti di fronte ogni notte un fantoccio con la tua stessa faccia, che ti spara addosso non so quanti coltelli. Ogni maledetta notte. Un fantoccio a cui brillano gli occhi, perché riflettono la luce del sole.
La Splendida Signora si accorse di essere rimasta sola, il comandante se n’era andato senza nemmeno salutarla. Si prese il viso fra le mani e tornò a sedersi sul trono.
Però il ragazzo ha ragione, è ora di farlo, è ora di piantare la bandiera. Il mio tempo è finito, la gente ormai non mi rispetta più, anzi è probabile che rida di me. Non hanno tutti i torti: sanno che sono l’ultima Signora, e sanno che il potere vero sta nelle mani del Senato. Ormai sono una caricatura di ciò che sono stata, sono una vecchia. Certo, potrei continuare in questa recita grottesca per decenni, ma la verità è che sono stanca di tutto questo, stanca di girovagare per la Signoria a guardare spettacoli che non mi interessano affatto, a stringere mani a persone che fanno solo finta di rispettarmi, ad ascoltare discorsi vuoti, privi della potenza della volontà e della propulsione dei sogni, discorsi meschini di gente che si accontenta. A volte vorrei interromperli e smascherare la loro pochezza, ma a che servirebbe? Non capirebbero, riderebbero di me come se fossi solo una rimbecillita, e poi tornerebbero compiaciuti alla loro mediocrità. A questo punto tanto vale rischiare di morire su quel dannato pianeta: adesso quando penso a quei primitivi ho l’impressione di essere molto più simile a loro che a quelle nullità dei miei attuali sudditi… Loro non avevano nemmeno un mezzo spaziale ma hanno rifiutato di sottomettersi; sapevano che sarebbero stati sconfitti ma non hanno ceduto. Morire per mano loro a distanza di tutti questi anni sarebbe un onore, sarebbe più dignitoso che aspettare la fine avviluppata nelle mie insensate paure. E sicuramente sarebbe la fine degli incubi, in un modo o nell’altro. Va bene, è deciso. Prima però devo fare giustizia, una Signora è tale solo se fa di sè uno strumento della giustizia.
Premette la mano destra sullo schermo accanto al trono. Passò qualche secondo e il comandante entrò nella stanza:
-Ha chiamato, mia Signora?-
-Certo che ho chiamato, imbecille. Va’ a dire alle mie guardie di riportare qui quel come si chiama, quel ragazzo di prima insomma. Gli farò grazia della vita, a patto che mi baci i piedi.- sorrise- E poi togliamoci dalle palle con la stazione, e vedi di fare in modo di portarmi il prima possibile laggiù. Chiaro?-
-Chiarissimo, mia Signora- dopo un veloce accenno di inchino, uscì.
Va bene, Ishyt, ci siamo. Hai aspettato trent’anni ma adesso ci siamo. Andrà male, lo sento. Andrà male e in questi trent’anni non sono stata capace di dare una discendenza alla mia famiglia, di dare una speranza concreta alla Signoria. Quel che è peggio, non mi ricordo quanto tempo è passato dall’ultima volta in cui qualcuno mi ha chiamata per nome: non ho amato, la Splendida Signora non ha vissuto grazie a Ishyt, ma al posto suo. Forse era il mio destino, o forse ho voluto crederlo. Come ho voluto credere ai sogni, ma non a tutti: perché, anche se non ci penso spesso, non è vero che muoio ogni notte, qualche volta mi ritrovo su quel pianeta e non mi succede niente. Non mi succede niente però piango, piango su quello che ho fatto. Per anni non ho capito questi sogni, non ho capito perché piangere invece che gioire, ma adesso sono pronta: andrò, e se dovrò piangere piangerò, se dovrò morire morirò, e se i sogni dicono il vero non potrò che esser grata al destino, perché sia che mi porti le lacrime sia che mi porti la morte sarà comunque un destino giusto. E comunque una Signora è tale solo se non ha paura di affrontare il suo destino. Non importa cosa pensano tutti gli altri: io sono ancora una Signora.
Quando Agnese chiama io rispondo. Qualche volta.
-Cari amici, auguro a tutti voi di raggiungere i vostri obiettivi guardando il mondo sottosopra; vi auguro di riuscire a smascherare l’illusione che i sogni non siano solidi, usandoli come punto d’appoggio per darvi lo slancio; vi auguro di arrivare puntuali all’incrocio fra la vostra volontà e quella del destino. Insomma, vi auguro di segnare un gol in rovesciata, come ho fatto io. Allora, che te ne pare?
-Ma scusa, non potresti offrire da bere e basta, come fanno tutti?
Credo che il pensiero, che ci ha regalato Ivano f, sia perfetto per iniziare questo weekend, che sia calcistico e non…
Non sono vivo:
mi manca una spruzzata
di giorni folli
Sono troppo ignorante anche solo per accettare o rifiutare le premesse alla tua domanda, figurarsi rispondere... Dico solo che mi…