Parte piano quasi un sussurro, bugie di numeri a caso stesi a soffocare le fiamme negli occhi ogni volta che pensa che lezioso giochetto di una bimba che canta di dolori più grandi di lei, la testa bassa sul petto spianato come il suo, come una sorellona in ferite, premonizione incarnata.
Ancòra non guarda mentre ascolta il pianoforte tracciare lo schema degli squarci lenti e profondi e familiari che sta per rivivere una volta di più la mutevole sorpresa del sangue a gocce per terra ma non più solo un’attrice promettente, stretta al microfono come a un ultimo appiglio.
Due strofe soltanto sulle quali gettarsi, trapassata dai suoni attutiti, dai calori distanti, da ciò che a ognuno rimanda concreti riflessi, da penna scaltra e allusiva molto più di quando la notte nasconde le vie di fuga e rivela gli orrori sottopelle.
Il cerchio di luce fugge da lei e circonda il piano che guida in crescendo la ripresa, mentre al buio cerca nei volti stranieri tremori e riflessi che li rendano simili a lei, le mani che scattano a togliere lacrime per poi inaridirsi sui jeans.
Respinte nel retro le parole appuntite allarga le braccia, un’ala alla volta, e torna a posarsi la luce sul suo volto stremato, gli occhi finalmente presenti e l’idea che guardi proprio lei sembra falsa e inevitabile assieme.
Tre parole ancòra e ancòra, in cui essere voce soltanto, vero canto e vero vuoto, dove il talento dipinge con un pennello coprendo verità tracciate a matita, dove il sorriso è una mascherina davanti allo strazio di vivere.
Non sa se battere le mani e non è la sola perplessa, non sa più cosa cercava quando ha scelto di esserci, fra le altre ragazze uscite a mostrarsi ma ancòra rinchiuse, specchi impietosi ma con qualche speranza, mentre sul palco l’eroina racconta che le luci non bastano a cambiare sé stessi.
Guarda e si stupisce, la sala colma di ragazzine assorellate dall’oscurità, soffioni che il primo pretesto potrebbe scompigliare e portarsi via, si spaventa del numero e si spaventa per lei, tremante fra le braccia del pianista, e si chiede quanto a lungo potrà reggere il ritorno al dolore, ciò che resta della magia allo scoccare della mezzanotte.
La porticina da cui è sbucata si è richiusa per sempre e lì fuori la notte è diversa ma buia altrettanto, non vede dove vanno a finire le scelte che le sono rimaste, non sa più perché ha aperto quella porta se il suo dolore non era là dentro, se il suo dolore era lei e ancòra è, ma per adesso resterà accanto al falò, abbracciata al suo lui finché farà chiaro, e se il giorno non verrà mai almeno il freddo stretti stretti non lo sentiranno.
Sono troppo ignorante anche solo per accettare o rifiutare le premesse alla tua domanda, figurarsi rispondere... Dico solo che mi…