-Vado io- parole sprecate rivolte alla forma che russava nell’altra metà del letto. Nyme si alzò a sedere e si guardò attorno: il buio era anomalo, un buio troppo buio.
-Bice, accendi luci soffuse- ma la casa non rispose e non obbedì all’ordine. Nyme era più seccata che turbata, non era certo quello il problema. Si levò in piedi e indossò la vestaglia, poi raccolse il suo BeSphere dal comodino e se ne servì per rischiararsi la via.
A questo punto di solito Bice le avrebbe già detto Ciao Nyme, hai bisogno di qualcosa? , invece continuava a tacere. In salotto il silenzio sembrava aver assunto una specie di densità, e ciò significava altra apprensione versata in un vaso che ne era già quasi colmo: ancòra una goccia e si sarebbe messa a gridare?
A due metri dalla porta d’ingresso si fermò. La casa aveva un sistema di isolamento acustico eccezionale -niente doveva permettersi di turbare la loro composta tranquillità- eppure adesso se tratteneva il respiro riusciva a sentire l’abbaiare disperato di una moltitudine di cani. Guardò le persiane con rassegnazione: solo Bice poteva comandarle.
Bussarono di nuovo furiosamente, intimando Aprite! , e le sfuggì un No! accompagnato da un saltellino all’indietro. Si avvicinò alla porta e guardò attraverso lo spioncino: fuori c’erano tre uomini travestiti da militari. Non capiva cosa ci facessero lì quando mezzanotte era passata da un pezzo, ma stava per scoprirlo: raccolse le chiavi da un brutto souvenir romano e aprì.
Le strade erano oppresse da una notte senza luna, e sferzate dal frastuono incessante dei latrati di tutti i cani del quartiere, o forse di tutti quelli della città. Solo uno stanco lampione su quattro era acceso, ma oltre a questa consuetudine Nyme vide qualcosa di meno rassicurante: sulla maniglia di gran parte delle porte era appesa una lampada coi vetri rossi, mentre delle lucciole volteggiavano proprio davanti alle poche porte al buio. L’angoscia della situazione filtrò in lei in un attimo, andando a corrodere ulteriormente le fondamenta della sua sicurezza. L’uomo più vicino alla porta impugnava una minuscola torcia elettrica che puntava qua e là con fare indagatore mentre gli altri due, tre passi più indietro, imbracciavano dei fucili a suo giudizio perfettamente credibili, anche se in realtà non ne aveva mai visto uno prima di allora. I tre non le fecero una grande impressione: non erano né alti né robusti, e le loro uniformi sembravano perfino di due taglie troppo grandi. Nyme voleva tanto ritornare nella sua silenziosa camera, perciò non attese che fossero loro a parlare:
-Carnevale è passato da un pezzo. Vi sembra l’ora di fare scherzi?-
-Non è uno scherzo. Siamo qui in veste ufficiale- rispose l’uomo con la torcia.
– Sì certo, ufficiale, sentite sono stanca e non ho voglia di storie-
-Ma ha visto o no le nostre uniformi?-
-Sì molto belle, vi saranno costate un occhio, ma andate a mostrarle a qualcun altro-
-Ci faccia entrare-
-OK basta, ho detto che non mi va di scherzare a quest’ora, sono abbastanza grande per sapere che i militari non esistono, chiaro?-
-Da quanto tempo non si aggiorna sulla situazione nazionale?-
-Beeh sono andata a dormire alle undici eee…- Nyme portò il BeSphere davanti agli occhi e gli fece fare un veloce quarto di giro in senso antiorario: la piccola sfera luminescente si staccò dalla sua mano e rimase a levitare cinque centimetri più in su, roteando lentamente. Vide che c’erano ventisei nuove notifiche. Una vampata di calore le salì dallo stomaco e andò ad avvolgerle il viso, ma l’attimo dopo rabbrividì perché aveva notato una foto che le aveva mandato la sua amica Petqi, la foto terribile di un cappio appeso al ramo di un albero, con sullo sfondo un portico che lei aveva riconosciuto anche al buio. Non voleva aprire il messaggio davanti a quei tre ma anche nella piccola anteprima riuscì a lèggere le parole iniziali sotto la foto: “non ce la posso fare”. Oltre non riuscì ad andare perché glielo impedivano le lacrime. Povera Pet, pensò, povera piccola Pet. Alzò lo sguardo verso il soldato.
-Ha capìto cosa succede?- le chiese quello.
-Non… non lo so- la voce le tremava. Le sembrava di camminare all’indietro, mezzo passettino alla volta, senza sapere se lo strapiombo fosse distante centinaia di metri o pochi centimetri.
-A partire dalla mezzanotte noi militari esistiamo, e abbiamo deciso di prendere in mano la situazione. Non avremmo voluto farlo ma non c’erano alternative-
Ora a Nyme sembrava che lo strapiombo fosse ovunque attorno a lei, e che le si avvicinasse restringendole lo spazio vitale, aveva la sensazione di essere risucchiata via, di venire staccata a forza dalla realtà a cui era avvinghiata, e di essere sputata fuori in una realtà completamente altra, nella quale il sole era freddo e le dimensioni erano variabili, nella quale erano gli strapiombi a cadere nelle persone e nella quale il buco che aveva nel calzino sinistro avrebbe potuto essere più importante non solo di lei, non solo dell’intera umanità ma addirittura di tutti gli universi rimanenti.
-Ma cosa…- ora le era difficile parlare, le sembrava persino odioso. Abbassò la testa e fissò il buco nel calzino. Per un solo istante riuscì a sentire il suono del non-colore del buco, il suono dell’assenza, e questo le diede un breve conforto di cui non capì il senso. Poi si riprese:
-Ma cosa volete da me?-
-Lei ci faccia entrare, e noi valuteremo se due persone come voi, che non riescono a stare al passo col mondo, possano essere utili alla Nazione. Vedrà, ci vorrà solo un attimo-
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