Quando l’Uomo giunse nella capitale i Grandi Anni erano ormai solo mucchi di ricordi non perfettamente messi a fuoco, che i vecchi sonnacchiosi seduti ai tavolacci esterni delle taverne riversavano su chiunque fosse così imprudente da avvicinarsi troppo. Sostenevano ostinatamente che a quei tempi la fiera durasse un mese intero invece che sole due settimane, e che i banchetti delle merci riempissero l’intera città invece che la sola piazza centrale. Ma sostenevano anche che la Regina non discendesse dalla Degna Stirpe ma dalla servitù di Corte che proprio nell’ultimo Grande Anno aveva perpetrato una strage dei Reali, sostituendosi poi a loro; queste affermazioni erano così incredibili che lo scetticismo provocato nei giovani si allargava fino a macchiare tutto quello che gli anziani raccontavano.
Nemmeno i giovani potevano però negare la decadenza che stava asfissiando sempre più i Quartieri Orientali: anno dopo anno i mercanti e gli studiosi delle fiorenti nazioni vicine presenti alla fiera eraro sempre più rari, parzialmente sostituiti nella quantità da carovane di genti con vesti stravaganti e lingue cacofoniche, provenienti da zone via via sempre più lontane e sconosciute. I locali avevano ben presto imparato a distinguere le varie zone dalla forma di labbra e nasi, dai colori e dall’ampiezza delle vesti, e da qualche parola fattasi infine comprensibile. Ma l’Uomo sfidava tutto il loro sapere.
Arrivò a piedi, il primo giorno della fiera. La sua carnagione era così chiara che lo faceva sembrare sul punto di svenire, e appariva ancor più chiara in contrasto col nero di quella specie di tunica che indossava, e col nero dei suoi capelli, arruffati in una maniera che nessuno aveva mai visto prima. Il viso era il vero mistero: qualcuno disse che era indefinito, qualcuno che era troppe cose assieme; a molti non sembrava lo stesso guardandolo di fronte o di lato. L’Uomo era giovane, alto e magro, ma non gracile, e aveva mani e piedi più grandi del normale. Parlava la lingua locale meglio della maggior parte dei braccianti, ma con uno strano accento. Naturalmente aveva un nome proprio, ma era formato da suoni che nessuno lì era in grado di riprodurre, così per comodità lo si chiamava l’Uomo.
L’Uomo era giunto fin lì da un luogo dal nome impronunciabile che, come disse loro, era molto più a Oriente di quanto i locali potessero immaginare, per partecipare al convegno di architettura che si sarebbe svolto il successivo festivo. Durante quella settimana ebbe il tempo di farsi benvolere per la sua cordialità, per i suoi sorrisi aperti e le sue strane risate contagiose, e per l’umiltà con la quale si rivolgeva a chiunque e aiutava qualora ce ne fosse bisogno. Il secondo giorno ebbe l’onore di assistere alla tradizionale visita della Regina, evento che lo fece rimanere senza parole fino all’indomani.
La Regina venne portata in piazza su una lettiga sollevata da otto robusti giovani. Era talmente grassa che il suo corpo aveva perso ogni parvenza umana, tanto che a qualche anziano che in gioventù si era spinto fino ai Grandi Mari dell’Occidente ricordava certi mostri marini che a volte finivano a morire sulle spiagge. Era distesa sul ventre ed era coperta solo da un sottilissimo velo semitrasparente, teneva gli occhi chiusi e respirava a fatica con brevi rantoli angoscianti. Nelle taverne si erano raccolte scommesse sull’ipotesi che finalmente quell’anno aprisse almeno un occhio, ma lei deluse chi osò credere a un evento così improbabile. Non aprì nemmeno un occhio ma fece qualcos’altro: solo chi era più vicino riuscì a sentire il rumore, ma molti videro il velo sollevarsi per un momento nella parte posteriore.
Al convegno l’Uomo mostrò un genuino interesse per ogni argomento trattato, fossero gli archi, le mura fortificate o i ponti, e ne teneva memoria su una pergamena tramite segni incomprensibili. Quando la riunione sembrava terminata si alzò chiedendo di parlare, e stupì tutti sostenendo che nel suo Paese niente di tutto quello esisteva, e che invece ogni costruzione era fatta di acqua corrente. Ci volle un’ora abbondante solo per capire che non stava scherzando, e il resto della sera e tutta la notte per convincerlo dell’assurdità di quanto andava dicendo: uscirono dalla taverna e usarono il cortile come fosse una grande pergamena per disegnarvi le loro dimostrazioni, e l’Uomo, a mano a mano che quei volti sbeffeggianti sembravano assumere espressioni più ambigue a causa della luce tremolante delle torce, e malgrado fosse certo di ciò che nel suo Paese aveva visto e realizzato, riusciva a comprendere sempre più a fondo i loro ragionamenti e le leggi che regolavano il mondo.
Quando il sole sbucò a Oriente l’Uomo, ormai del tutto convinto, fece una breve corsa in quella direzione e poi si gettò in ginocchio. Piangeva disperato e, quando ne era in grado, urlava che tutto era perduto, che tutto crollava, tutto per colpa sua e della sua ingenua fame di sapere. Cercarono di consolarlo, gli dissero che al suo Paese niente poteva essere cambiato, di farvi ritorno e vedere coi suoi occhi, ma lui rispondeva che era sicuro che le leggi del mondo di cui era venuto a conoscenza fossero già arrivate fin laggiù. Disse anche che la strada per il ritorno comprendeva delle svolte che esistevano solo in un determinato tempo, idea che tutti trovarono assurda e, quando riuscirono a convincere di ciò anche l’Uomo, egli parlò per l’ultima volta. Seppero che laggiù ad aspettarlo c’erano una Donna e una Figlia, e che non esisteva un modo per poterle rivedere, non più.
L’Uomo, come annientato, andò a sedersi su una panca di pietra all’ingresso orientale, proprio di fronte alla postazione del guardiano, e lì rimase immobile, con le braccia appoggiate alle cosce e le mani sulle ginocchia. Non parlava, non beveva e non mangiava. I primi due giorni molti cercarono di consolarlo e di convincerlo ad alzarsi, ma egli non sembrava nemmeno accorgersi della loro presenza. Il terzo giorno la maga di Corte si sedette in terra di fronte a lui, fingendo di benedirlo e simulando lacrime di commozione, ma non riuscì a rimanere più di mezz’ora.
L’Uomo cominciò a incurvarsi e a dimagrire vistosamente, i suoi capelli cadevano a ciocche e gli occhi, sempre puntati su qualcosa che stava altrove, erano ogni minuto più infossati. Ormai nessuno sembrava più far caso a lui, tranne qualche cane che lo scambiava per un albero. La mattina del sesto giorno un gruppo di monelli si accorse che la pelle dell’Uomo si era scurita, e quando arrivò l’ora di mezzodì dell’ultimo giorno di fiera l’Uomo era diventato più nero della sua tunica, che nel frattempo gli era scivolata giù dal torso. Aveva perso i capelli e gli si potevano contare tutte le ossa, e non riusciva più a tenere gli occhi aperti.
Verso sera era sfinito, piegato a tal punto che la fronte era appoggiata alle ginocchia, e i suoi respiri erano corti , deboli e rumorosi. Anche il guardiano si era unito alla grande festa di Mezzestate, a quei canti gioiosi e sfrenati, perciò l’Uomo rimase solo nei suoi ultimi minuti. Quei suoni gli ricordarono altri canti, altri volti e altre mani: con le ultime forze e uno scrocchio del collo si voltò a sinistra verso le enormi porte. Aprì l’occhio sinistro, nonostante la notte senza luna e il fatto che fosse diventato nero anch’esso, lo aprì perché credeva giusto dare un ultimo sguardo in direzione del suo Paese lontano, anche se non attraverso la vista.
Dopo poco il suo petto scavato rientrò un’ultima volta. L’occhio si chiuse facendo uscire una lacrima, e nello stesso istante una grossa goccia di sudore, più nera della notte, si formò al centro della sua fronte. Lacrima e goccia scivolarono in accordo alla legge di gravità. La goccia raggiunse il terreno quando la lacrima era appena arrivata sul naso, sollevò un po’ di polvere e lasciò di sé una piccola macchia nera tondeggiante. Quando sotto la luce del mattino seguente i locali si accorsero di cos’era successo all’Uomo videro la lacrima ancora sul naso, e la scia chiara che aveva lasciato dietro di sé, e videro in terra una macchia nera tondeggiante già più grande degli scudi dei Nobili Coltivatori.
Moltissime stagioni erano trascorse dalla rovina dei Quartieri Orientali quando un vecchio e la sua nipotina se li ritrovarono davanti. Il vecchio non avrebbe voluto che la bambina li vedesse ma aveva sbagliato strada.
La distruzione si era presa almeno duecento campi di terreno, e si diceva che continuasse a espandersi. Tutto era diventato nero, gli alberi prima di morire si erano ristretti e rattrapiti, e il più tetro silenzio testimoniava l’assenza di animali. A poco più di trecento passi da loro c’erano i resti della capitale: le porte dell’ingresso orientale erano state divelte e giacevano in terra ridotte a legno marcio e ruggine. La bambina appena vide l’apertura nelle mura annerite sfilò la propria mano da quella del vecchio e corse in quella direzione, lanciando ogni tanto gridolini festanti.
A nulla valsero i richiami del vecchio, lei continuò a correre ed entrò. Quando il vecchio riuscì a raggiungerla inorridì: aveva davanti l’Uomo di cui parlavano i racconti degli Anziani, ai quali non aveva mai creduto. Era perfettamente integro, più che un uomo sembrava una statua nera, con una sottile striscia chiara che andava dall’occhio sinistro al naso. La bambina gli mostrò cos’aveva sul dito: un piccolo grumo trasparente leggermente allungato. Capì che aveva colto la lacrima dal volto dell’Uomo e le gridò di gettarla via. La bambina obbedì spaventata, e la lanciò contro la bassa costruzione di pietra lì accanto: la lacrima rimbalzò e si fermò a meno di un passo da lei. Dalla lacrima proruppe verso l’alto un getto d’acqua sottile e largo all’incirca due piedi, che dopo mezzo piede piegò improvvisamente ad angolo retto, proseguendo in orizzontale per un piede, poi di nuovo all’insù per mezzo piede e così via, andando a formare una scalinata che saliva a spirale, e che in breve tempo sembrava già perdersi nella nuvolaglia che stava ombreggiando la mattina nella regione.
La bambina spalancò gli occhi e dopo un solo istante di esitazione poggiò il piede sul primo gradino d’acqua. Appurato che la reggeva cominciò a salire la rampa di corsa, ridendo come non faceva da tempo. Quando il vecchio si riscosse dallo stupore la bambina era già troppo in alto per poterla afferrare, così si decise a salire anch’egli, ma il suo piede invece di appoggiarsi sul primo gradino lo attraversò. Rimase là con le mani sulla testa, non sapendo che fare. Gridava alla bambina di scendere, che era pericoloso, ma lei non lo stava ad ascoltare e invece ridendo continuava a salire…
…e rideva…
…e saliva…
…e rideva…
…e saliva…
…e rideva…
…e saliva…
…e rideva…
Sono troppo ignorante anche solo per accettare o rifiutare le premesse alla tua domanda, figurarsi rispondere... Dico solo che mi…