Avanzava cauto, confrontando mentalmente ogni passo compiuto con gli ordini ricevuti: avanti, sempre e comunque -il Re aveva parlato chiaro. A volte immaginava di voltarsi indietro e ritrovarsi trasformato in una statua di sale, una superstizione sicuramente stupida che però non aveva mai messo alla prova. Gli prudeva il culo ma non osava grattarsi -non sotto l’occhio attento dei Reali alle sue spalle- e il sole gli stava cuocendo la schiena -che vita. Alla sua sinistra c’era W., quel tale del profondo Nord. Lo chiamò ma quello non si disturbò a rispondergli -si era portato appresso le distanze a cui erano abituati dalle sue parti. Poi W. fece un movimento avventato e fu colpito. Ci rimase secco. Cose che succedevano -specialmente a loro, indispensabile carne da macello, numeri per ingrossare le vanterie di ufficiali pieni di sé. Se le cose stavano così che senso aveva affezionarsi ai compagni di sventura? Meglio pensare ai fatti propri, come aveva sempre fatto lui.
Fra i suoi compagni circolavano fogliacci clandestini che mettevano in dubbio le ragioni della guerra. Anche i nemici sono uomini come noi -sostenevano, come se fosse un argomento valido. Come se fosse una notizia sconvolgente. Ma davvero? -rispondeva sempre lui. C’erano già state così tante guerre (persino guerre civili!) da non poter nemmeno ricordarle tutte, e qualcuno davvero credeva che chi le aveva combattute non fosse perfettamente cosciente di trovarsi di fronte a uomini e non a orchi delle montagne? Ma se esteriormente tutti gli uomini erano simili non si poteva dire altrettanto di ciò che racchiudevano, di ciò in cui credevano, bastava farsi un giro nei vari Paesi per rendersene conto: ogni luogo era stato plasmato in base a ciò che i popoli erano -e non avrebbe potuto essere altrimenti. Non si combatteva contro altri uomini ma contro ciò di cui essi erano portatori. E infatti ai suoi occhi i nemici non avevano un volto, avevano soltanto un ruolo: la divisa contava più di chi la indossava, e in quel caso mostrava chiaramente che i due popoli erano troppo diversi fra loro, in un certo senso perfino opposti, perciò la convivenza non era nemmeno immaginabile. Uno dei due doveva scomparire -così andava il mondo.
Era stato un massacro. I due eserciti si erano distrutti a vicenda e sulla spianata ormai vagava soltanto qualche povero diavolo che sembrava aver perso il senno -ghigni insensati seminascosti dalle ombre allungate della sera. La battaglia aveva reso vedovi entrambi i Re, i quali avevano annunciato solennemente a quel pubblico scarso e sfinito che l’esito della guerra sarebbe stato deciso da un duello all’ultimo sangue tra loro, come quelli che si disputavano nei bei vecchi tempi. Il suo Re gli aveva ordinato di approfittare della situazione per raggiungere le retrovie nemiche. Lui ovviamente obbedì, non era nella condizione di poter scegliere, ma temeva che il suo sovrano e comandante fosse impazzito per il dolore. A preoccuparlo non era l’ordine in sé ma la postilla motivazionale -di solito conteneva concetti con la maiuscola, Gloria Patria Nazione, persino Dio, o almeno riferimenti a premi più prosaici e più concreti. Il Re invece gli aveva garantito che una volta raggiunte le retrovie sarebbe diventato la Regina. Non nel senso che sarebbe stato elevato al rango di Regina -cosa che già sarebbe stata abbastanza inquietante- ma nel senso che si sarebbe trasformato in quella stessa Regina che era stata uccisa poco prima. Inconcepibile. Da che mondo era mondo chi nasceva pedone rimaneva per sempre pedone.
Sono troppo ignorante anche solo per accettare o rifiutare le premesse alla tua domanda, figurarsi rispondere... Dico solo che mi…