Apparentemente la sua strategia mentale aveva funzionato, il solo esser disposto a una convivenza eterna col sangue sembrava essere bastato a cancellare quelle visioni così realistiche. Aveva proprio ragione quel tale che disse che si apprezza veramente qualcosa solo quando la si perde: scoprì allora che in fondo aveva sempre posseduto una sottile lamina di serenità, prima di averla perduta e infine ritrovata. Naturalmente non si poteva esagerare chiamandola gioia di vivere, ma ci si sente così rigenerati dopo una doccia calda, coi vestiti puliti addosso, annusando l’aroma del bagnoschiuma invece di rimanere imprigionati dal puzzo del sangue, si riesce quasi a percepire un residuo di rispetto per sè stessi…
In quella rinnovata atmosfera, del racconto aveva scordasto perfino l’esistenza, sennonchè giunta che fu la mattina di venerdì Ilaria ruppe l’incantesimo. Lui aveva appena fatto in tempo a mettere il naso in cucina quando lei mollò il cellulare sul tavolo e si alzò in piedi; mentre sul viso le si apriva un sorriso radioso le sue mani, rimaste d’improvviso libere, senza chiedere il permesso iniziarono a stringersi l’un l’altra: -lo pùbblicano!- così, diretta. Era un lampo di gioia, che inevitabilmente riverberava anche su di lui: la abbracciò e le disse la verità: -sono contento!- una delle verità più effimere mai apparse, schiacciata all’istante dalla cannibalesca volontà della successiva; la domanda dentro di lui era “significa che hai dato un calcio allo sgabello sotto ai miei piedi?” ma quella che uscì allo scoperto fu un’altra: -adesso posso leggerlo, vero?- provò a condirla con un’espressione allegra perchè lei non ne avvertisse la pesantezza ma Ilaria qualcosa l’aveva comunque capìta: -non è che ultimamente hai visto qualche cosa di strano, vero? Un po’ di pazienza e lo leggerai come gli altri, niente favoritismi…- lei pure fece ricorso a una simulazione d’ironia che però mostrava segni di fragilità e, benchè lui l’avesse rassicurata recitando magistralmente la parte, un puntolino di preoccupazione le rimase incastrato dentro agli occhi, a rivelare che la questione probabilmente sarebbe stata riaperta prima o poi.
“lo pùbblicano”. Non che si potesse sperare in una diffusione estesa, questo no: Ilaria collaborava con un foglietto bimestrale che non raggiungeva nemmeno tutta la provincia e che con una buona dose di autoironia avevano battezzato “il grido”; se poi un racconto si rivelava particolarmente riuscito poteva arrivare a un numero maggiore di lettori tramite “lo specchio”, che copriva l’intero triveneto e della cui redazione regionale facevano parte due suoi amici d’infanzia. Davide si ritrovò a sperare che quel racconto facesse davvero schifo ma aveva il timore di non riuscire a vivere abbastanza a lungo per riuscire a leggerlo: è indubbiamente facile irridere le credenze irrazionali dal di fuori, ma spinti brutalmente con la faccia addosso a una realtà che supera le nostre conoscenze e le nostre sicurezze diventa difficoltoso restare ancorati alla pura logica. E se già quel che si vede può turbare, ancor di più quel che si tocca. “lo pùbblicano”. Quasi certamente sarebbe passato inosservato, lui non era in grado di stabilire il valore letterario degli scritti di Ilaria ma su questo aspetto poteva basarsi sull’esperienza; quindi era probabile che scivolasse via assieme allo scorrere del tempo anche la descrizione (probabile, volendo ritrarli realisticamente) del particolare rapporto che si era venuto a instaurare fra loro. Inoltre anche accettando una propagazione della storia bisognava sempre tener presente che difficilmente sarebbe stata ritenuta realistica, tantomeno autobiografica, talmente sembrava (era?) assurda.
Le loro esistenze si incrociavano nel fragile riparo di una bolla di sapone, pronta a scoppiare da un momento all’altro, e ne erano consapevoli; eppure continuavano a quel modo come se si fossero bendati per non sapere quanto tempo mancasse all’ultimo passo verso il precipizio. Insomma, così stavano le cose:
Davide e Ilaria si conoscevano dalle medie, cioè da quando lei dalla città si era trasferita in paese. Sebbene da principio non ne fosse rimasto affatto colpito, gradualmente lei si era fatta largo nel suo cuore fino a occuparlo per intero, così da spingerlo a svelarle i suoi sentimenti, a dispetto del suo carattere proverbialmente introverso; la risposta era stata negativa ma dopo un periodo di distanza si erano in qualche modo avvicinati, non fino a poter parlare di amicizia, semplicemente passavano volentieri il tempo assieme e fra loro parlavano sinceramente. Alle superiori avevano preso strade diverse nonostante gli insegnanti avessero cercato di dirottare anche lui verso il liceo scientifico, ma Davide che era più realista e non si lasciava confondere da qualche voto alto aveva giustamente optato per un istituto tecnico.
Da allora si erano visti sempre più raramente ma quelle poche volte erano come felici ritorni a casa, squillanti di risate; in quel tempo Davide già si sforzava di mantenere solo i rapporti inevitabili, bruciando accuratamente i ponti col resto del mondo. Il vero salto nel buio era però avvenuto dopo la maturità quando, avendo trovato lavoro come serramentista, aveva potuto uscire del tutto dalla rete di conoscenze scolastiche; infine, un terribile giorno aveva addirittura mentito a Ilaria non presentandosi, per riguardo della propria patologia, alla gelateria dove lei aveva invitato parecchia gente oltre a lui in occasione del proprio compleanno. Tutto ciò nonostante Ilaria fosse per lui sempre e comunque l’unica donna al mondo; ma troppo forti erano stati la vergogna e l’imbarazzo di mostrarsi agli altri per quello che sapeva di essere, vale a dire un ragazzino la cui crescita si era fermata a tredici anni, senza speranza alcuna di superare un giorno quel confine.
Se non fossero vissuti in un’epoca nella quale le ramificazioni del virtuale si insinuavano quasi in ogni casa forse tutto sarebbe finito così, con quell’eterno tredicenne autoesiliatosi fino alla sconsolata vecchiaia e alla conseguente morte fra i gelidi spifferi dell’abbandono. Invece una sera, spinto dalla sferzante nostalgia provocatagli dal recente incrocio con un volto che avrebbe potuto essere quello di Ilaria, navigando nella sconfinata rete aveva scoperto che lei era la voce di un gruppo musicale. Un anno era passato da quando si erano sentiti per l’ultima volta, due da quando si erano visti per l’ultima volta, e questo schiaffo gli aveva dovuto far ammettere quanto fosse ancora vasto il vuoto che la mancanza di lei gli aveva scavato dentro.
Erano trascorsi altri tre mesi prima che il gruppo avesse tenuto un concerto, al quale Davide si era presentato a sorpresa, per la apparente gioia di Ilaria, che era sembrata davvero dispiaciuta per la loro lontananza. Insomma si erano riavvicinati, nonostante lui fosse sempre combattuto fra il desiderio di vederla e la volontà di non essere per lei fonte di disturbo e imbarazzo; questo perchè le aveva rivelato sia la condizione della sua povera mente sia il fatto che lei fosse ancora la regina dei suoi sogni, e temeva che lei sentisse come suo dovere quello di salvarlo da sè stesso (impresa peraltro impossibile), credendo che quella fosse la volontà nascosta nell’inconscio di lui, quando invece quell’incontro era nato unicamente dall’irresistibile bisogno di rivederla. In ogni caso gli incontri si erano mantenuti abbastanza rarefatti nel tempo, dato che Ilaria era presa da numerosi impegni: oltre allo studio e al gruppo aveva anche iniziato a coltivare l’interesse per fotografia, cucina e scrittura e, viste le tare di Davide che suggerivano incontri a due, rimanevano ben poche occasioni disponibili.
Poi era successo l’imprevedibile. Era un giorno qualunque, mercoledì o giovedì, a metà di una settimana qualunque agli inizi dell’autunno, e dopo aver passato la serata a camminare per le vie della città si erano fermati a sedere su di una panchina in piazza […], vicino al laghetto. Dopo un breve silenzio lei gli aveva preso le mani fra le sue e con un accenno di sorriso malinconico gli aveva detto: -mi cacciano di casa- al che a lui dapprima era sfuggito un “eh?”, quindi l’aveva stretta a sè; non voleva chiederle il motivo di quella svolta perchè spettava a lei decidere quando parlarne, e poi già lo immaginava da sè (e immaginava bene, avrebbe poi saputo: i suoi credevano -e forse non avevano tutti i torti- che Ilaria non prendesse abbastanza sul serio l’università, distratta da musica, scrittura, cucina e fotografia, e dopo aver tentato inutilmente di convincerla a ridurre i suoi interessi avevano infine scelto di impartirle una dura lezione di realismo), non era in grado di darle risposte e nel momento stesso in cui le aveva invece posto una domanda si era reso conto di quanto fosse lontano dal raggiungere la normalità: -cosa pensi di fare?-. Lei invece di rispondergli “non lo so” oppure “speravo che me lo dicessi tu” gli aveva detto: -potremmo cercarci una casa in affitto- con ancora addosso quel mezzo sorriso e delle lacrime pronte ad avventurarlesi sulle guance; lui aveva creduto che scherzasse: -e saresti pronta a sopportare di vedermi ogni giorno? allora sei proprio disperata!-.
Non scherzava affatto. C’erano volute due settimane per trovare quella casetta, abbastanza spaziosa e con un discreto cortile ma vecchia e trascurata, alla periferia di un paesino le cui uniche comodità erano un bar e una panetteria, e popolato per la maggior parte da vecchi; due settimane durante le quali Davide aveva dovuto far fronte alle legittime e sensate perplessità dei suoi genitori, che in realtà combaciavano quasi del tutto con le sue. Perchè mai mantenere una donna che non è la tua ragazza, oltretutto impedendo che impari a fare sacrifici per ottenere i suoi obiettivi? Non capisci che ti sta solo sfruttando? Se poi lei trova un uomo cosa ne sarà di te? Alla fine della discussione (o meglio: litigata) giungevano entrambi alla conclusione “tu non sei normale”, che poi era l’unica risposta sensata, nonchè la stessa idea che albergava nella mente di Davide. Solo partendo da queste basi si poteva capire come fra i due fosse comunque lui a guadagnarci di più perchè, mentre Ilaria accettava di complicarsi la vita sentimentale, per lui invece ogni momento in più accanto a lei rappresentava una grazia: mangiare mezzo scarafaggio è sempre meglio che digiunare. Ma aveva sempre saputo che quell’azzardo non sarebbe potuto durare a lungo, specialmente dal momento in cui Ilaria si sarebbe resa conto di quanto fosse vuota e inutile l’esistenza di Davide, all’opposto della sua, così ricca di impegni e di conoscenze. Ci vuole cuore per stare in mezzo alla gente e lui più si guardava dentro più si convinceva di non averne ricevuto in dono neanche un pezzetto.
Sono troppo ignorante anche solo per accettare o rifiutare le premesse alla tua domanda, figurarsi rispondere... Dico solo che mi…