Vasti silenzi
Pedine ridisposte
Qualcuno muore
Vasti silenzi
Pedine ridisposte
Qualcuno muore
Entra in scena un povero guitto in jeans e maglietta blu della Pfike, forse l’unico sano disponibile. Non può avere più di vent’anni ed è magro magro, ha le guance scavate e la testa ricoperta di riccioli neri. Tiene in mano un foglio a quadretti. Fa due passi in avanti
Mi hanno detto…
e si ferma, si volta all’indietro e resta in ascolto, poi si rivolge di nuovo alla sala e dice
Buonasera… No un momento non mi hanno detto buonasera, volevo dire… Avete capìto dài… Forse lei no
rivolgendosi a un’anziana signora in prima fila
ma spero tanto in voialtri.
Il teatro è pieno solo per metà, gli altri hanno giustamente approfittato di quella pausa in mezzo a sei ore di storielle edificanti per sgranchirsi le gambe. Gli spettatori rimasti si scambiano opinioni, si lamentano di qualcosa o sono al telefono con le babysitter. In pochi danno un’occhiata al palco, e sono occhiate poco rispettose verso quel tale, che sembra uno stagista buttato nella mischia in mancanza d’altro.
Il ragazzo avanza verso il centro del palco e intanto dice
Mi hanno detto di leggervi una cosa e… chi sono io per oppormi?
Nessuno! grida un tale dalle ultime file.
Grazie, grazie davvero, troppo zelo, nessuno sono, stavo per dirlo eh. In realtà non è che mi hanno detto, me l’ha detto Giuseppe che come sapete… ah non lo sapete, giusto, anche lui è…
e con un gesto invita a intervenire il tale di prima, che si fa trovare pronto: Nessuno!
L’hai detto tu eh. Dato che non sapete niente vi dico io che Giusè ha una figlia… ma qui si va per le lunghe quasi quasi mi faccio portare una sedia. Mariooo!
grida
Sì sì lo so che state pensando “ah questi giovani d’oggi sempre stanchi” ma dovreste provare a essere giovani oggi, intanto, poi in realtà io non sono “igiovanidoggi”, c’avrò i miei difetti ma sono roba tutta mia. Mariooo! Quanto ci mette ogni volta oh. Ah, eccolo. Dài dài!
Dalla sinistra entra in scena un tizio sulla sessantina in giacca e cravatta. Tiene la sedia con due mani davanti a sé e avanza a piccoli passi incerti, come temendo che con un’andatura più spedita possa lacerare i pantaloni. Finalmente posiziona la sedia sopra alla stellina dipinta sul palco, poi rimane per un po’ in piedi lì accanto, a fissare la sala che nel frattempo si è riempita quasi del tutto. Il taglio cadente dei suoi occhi scuri ha un che di rettilesco, e si esibisce in un inquietante mezzo sorriso sbilenco.
Dài Mario basta, non sono qui per te, me li spaventi.
Mario si gira e si incammina con la stessa flemma di poco prima.
Non correre Mario, pensa a me. È spericolato, mi fa venire il batticuore.
qualche timida risata
Un applauso per Mario!
ma niente di tutto questo
Ah è così? Peggio per voi, non sembra ma Mario è un permalosone.
Si siede.
Ooh finalmente. Allora. Per colpa di Mario non mi sono ancora presentato. Io sono Davide, è facile da ricordare, Davide contro Golia, avete presente? Beh lui almeno aveva la fionda io ho solo questo foglio e non lo so mica se basterà ma fate una prova fra due mesi e vediamo cosa vi ricordate di questa serata… Dicevo che Giusè ha una figlia molto carina, Francesca, che io chiamo la France, e non vi dico come la chiamo in altri momenti… Scherzo Giusè! Non sapete cosa sto rischiando, è un bestione permaloso.
Pure lui!
Pure lui sì, immaginate il mio ambiente lavorativo, la sedia mi serve anche per difendermi… Insomma la France ha scritto questa… poesia? questi versi, meglio, e il suo babbo ci tiene tanto a farveli sentire, che tenero. Comincia così: “Fu sera ma tardava la mattina” e io mi sarei fermato qui, ha il suo perché e allora perché, appunto, perché ostinarsi a proseguire? Ma sentitempo’. “tardava la mattina” e l’abbiamo detto “a svelare la tiepida luce, avvolta intorno alle cose” e come la chiude? “rugiada memore dell’Alto” Ma ragazza mia esci un po’ la sera, vedi qualcuno, fatti una vita e vedrai che non le scrivi più cose così. Ma in fondo io non ci capisco niente di poesia, e posso forse rifiutarmi di leggere questa cosa?
Noooo! da almeno metà dei presenti.
Grazie del sostegno eh, sono commosso. Allora andiamo avanti. “Tardava la mattina” Ancora! È chiaro che sapeva di avere un pubblico di una certa età… “Tardava la mattina incatenata, ma un canto morbido e gioioso” Morbido! “parlava ai cuori di chi c’era, quando si credeva alle mattine” E ok, sei in qualche modo arrivata fino a qui, però ora basta, no? Forse è un po’ colpa mia, avrebbe avuto meno tempo per questo se le avessi dato tutto quello che mi chiedeva ma gente,ve lo dico sinceramente, un po’ mi faceva paura, era insaziabile… Sto scherzandoooo! Giusè, hai capito? È solo uno scherzo.
fa l’occhiolino al pubblico, che si concede qualche risata
Allora, Giusè conosce bene sua figlia eppure anche scherzando gli ho messo in testa qualche dubbio. Immaginate quanti dubbi si possono mettere in testa riguardo a degli sconosciuti, immaginate che qualcuno vi dica che io sono un pericoloso sovversivo, che qualcuno mi paga per fare quello che faccio. In effetti non sarebbe male essere pagato ogni tanto.
qualche risata
Ma il nostro tempo è quasi finito e allora arriviamo fino in fondo. “Ghignavano le grigie nubi, tese e gonfie come rospi, e piovvero non capendo, e svanirono piovendo” punto e fine. Mi sembra tutto poco concreto, poco carnoso, e non abbastanza alto, una cosa a metà strada come se ne trovano ovunque diciamo, ma se l’ho letta è perché dimostra che la France ha occhi per vedere, orecchie per sentire, e un cuore per giudicare, e tanto mi basta. Anche se sembra un po’ forzato, manieristico… Questa l’ho imparata oggi, suona bene vero? Insomma si capisce cosa vuole dirvi, lo so che siete intelligenti ma siete anche abbastanza svegli? Lei non credo
guardando la signora anziana
ma su di voi potrei anche scommettere. Forse vi hanno convinto a stare seduti, vi hanno detto che il soffitto è basso e che se vi alzate in piedi sbatterete la testa, ma non vorreste provare a vedere se è davvero così? Mariooo! Sei pronto per il finale? È una settimana che lo proviamo ma è un po’ duro di comprendonio
qualche risata. Davide comincia a piegare il foglio da cui ha letto.
Le parole sono importanti, certo, ma forse non è importante che siano le parole esatte, forse è più importante il loro senso, quello che mostrano, gli ingranaggi che mettono in movimento nella testa. Non ci vedremo un’altra volta ma fra due mesi, fra due anni qualcuno… non lei magari
facendo l’occhiolino alla solita signora anziana
ma qualcuno almeno si ricorderà non delle parole precise da citare, ma che è sempre possibile guardare le cose con onestà, coi propri occhi, col proprio cuore, e trovare da sé le parole, le proprie parole. E ora il tanto atteso finale!
Mario entra in scena, seguìto da due poliziotti. Davide ha trasformato il foglio in un aeroplano di carta e lo lancia verso il pubblico: non fa molta strada, si ferma a due metri dalla prima fila. Mario compie un passo in quella direzione ma una signora si alza e va a raccogliere l’aereo. I due si fissano per almeno un minuto, poi Mario si volta e fa un cenno con la testa a Davide, che si alza in piedi, e allora anche tutto il pubblico si alza in piedi. Sul volto di Davide compare il sorriso stanco di chi ha appena concluso una giornata di lavoro duro e appagante, ma quando i poliziotti lo portano via nessuno si muove.
La signora dispiega l’aereo di carta ma per quanto se lo rivolti fra le mani la sostanza non cambia: il foglio è immacolato.
Era un movimento quello o se l’era immaginato? Si avvicinò al vetro. Era troppo presto. Eppure… ecco, non si era sbagliato. Dalle casse proveniva il rumore appena percettibile dei colpi e l’uovo stava sussultando, non c’erano più dubbi.
Il telefono ronzò e ronzò vibrando e spostandosi nervosamente e Ilaria come faceva a indovinare sempre i momenti peggiori per farsi sentire poi uno dovrebbe pensare al caso ma quale caso e caso c’era qualcos’altro sotto prima un interminabile silenzio e ora che il momento era arrivato lei faceva entrare lì dentro troppo presto il mondo che lui aveva dimenticato e che avrebbe voluto ricordare solo nel tempo del trionfo.
Non avrebbe certo risposto. Mesi e mesi di derisione e di esclusione, e poi mesi e mesi di studio forsennato, di notti agitate e solitarie, e poi mesi e mesi lontano da tutti, lontano dal mondo civilizzato, chiuso in quel laboratorio circondato dai ghiacci ottenuto mentendo sui suoi scopi, a nutrirsi di cibi avvilenti e a difendere a fatica la mente dai subdoli richiami del silenzio e dell’isolamento… e tutto solo per poter vivere attimi irripetibili come quello. L’avrebbe chiamata più tardi, quando il futuro avrebbe ripreso un colorito più sano.
Il primo frammento di guscio era caduto sul tavolo e dal buco frastagliato stava colando un fluido giallognolo. Controllò per l’ennesima volta temperatura, umidità e pressione, controllò che la telecamera stesse registrando, pur conoscendo già la risposta, e controllò anche l’ora. Poi riportò sùbito lo sguardo oltre il vetro: altri frammenti di guscio erano caduti dentro alla pozza di fluido. Ormai il varco nell’uovo era abbastanza grande da permettergli di intravedere al suo interno qualcosa che lo turbò. La schiusa diventò sempre più rapida e furiosa: pezzi di guscio vennero proiettati in giro, uno finì contro la vetrata dal suo lato e scivolò giù pian piano lasciandosi dietro una scia disgustosa.
A un certo punto non gli fu più possibile negare che ciò che aveva davanti agli occhi era del tutto sbagliato: nel colore, nella forma, nel numero. Tuttavia ne era affascinato, e se ne stava coi polpastrelli e il naso appoggiati al vetro quando un movimento improvviso al di là gli fece fare un salto all’indietro. Ebbe come una visione istantanea e vertiginosa del laboratorio che da contenitore diventava contenuto, ma la sua mente la rifiutò sùbito. Lentamente si riavvicinò. Ancòra non aveva capìto di essere spacciato.
Sono troppo ignorante anche solo per accettare o rifiutare le premesse alla tua domanda, figurarsi rispondere... Dico solo che mi…