Undici storielle

  L’avvocato più Avvocatolo che ci sia ha scritto un libro (L’ultimo Abele – storia di un’ossessione), e questo è noto. Ha pure inventato un tag… no però non sbadigliate, fate almeno finta di non saperlo già! OK, visto che sapete tutto, saprete anche che io sono una brutta persona e non proseguo i tag (e infatti l’Avvo, che lo sapeva, mi ha giustamente schiaffato nella bolgia dedicata a chi non lo fa). Ma questo tag è anche un concorso (ancòra aperto, partecipate numerosi!) che offre ai mini-racconti-da-una-frase (flash fiction la chiama chi la sa lunga, e io mi fido) partecipanti l’opportunità di venire pubblicati sul blog dell’Avvo, e a uno (ma davvero sarà solo uno?) di venire pubblicato addirittura nel libro di cui sopra. Perciò, tralasciando la parte-tag, mi sono concentrato sulla parte-concorso e, visto che la qualità è quella che è, ho scelto di puntare sulla quantità: insomma ecco a voi undici racconti, nove orizzontali e due verticali (di cui uno in discesa e uno in salita)…

La pecora sgusciò via belando singhiozzi, voltò la testa e lo guardò coi suoi stupidi occhioni gonfi di lacrime, incredibilmente ancòra sorpresa nonostante tutto, e quello stupore gliela fece odiare ancora di più, tanto che riuscì persino ad accelerare la corsa e in pochi attimi le fu di nuovo addosso, levò in alto la mano armata della pietra che le avrebbe spaccato il cranio e la calò sulla testa della bestia, già pregustando la ritrovata pace dei silenzi serali.

Cosa buffa davvero che un uomo illustre come Babà-Yeyé, a suo tempo trovato Giusto agli occhi della sua Nazione, una volta attraversata quella misteriosa porta che qualcuno si ostina a chiamare Morte si sia dovuto accontentare di un modesto impiego come lucidatore di scarabei, otto ore al giorno passate inginocchiato nella fanghiglia rovinandosi gli occhi alla ricerca di eventuali impurità, con in più quello spadone appeso proprio sopra alla sua testa a turbargli i pensieri.

Salì le scale scalzo, nel più assoluto silenzio, e varcò la porta aperta sulla stanza baciata dal sole senza togliere gli occhi un istante dalla figura che si sporgeva dalla terrazza scherzando con qualcuno di sotto, le si avvicinò furtivamente e le abbrancò i fianchi, lei fece un salto e gridò, quindi si girò e il suo volto gli mostrò di nuovo, come fosse reale, lo spettacolo della comparsa della gioia, prima che lei gli si lanciasse addosso a inondarlo dell’estasi di uno dei suoi chiassosi abbracci, spegnendogli finalmente ogni altro pensiero mentre veniva sommerso dalla dolce ombra di quei suoi lunghi capelli neri.

Fino a quando continueremo a restare fermi qui niente cambierà davvero, gli disse quello, non basta piangere e abbracciarsi consolandosi l’un l’altro, continuò, dobbiamo invece prendere per le corna le nostre esistenze e renderci conto che l’azione è necessaria e non più procrastinabile, si infervorò, siamo pochi e lo so bene ma la volontà dei vivi è più potente dell’ottusa forza di tante menti annebbiate, e avrebbe continuato chissà per quanto se non lo avesse schiaffeggiato, lasciandolo a tenersi la guancia mentre lui si aggrappava alle sbarre urlando alla guardia di portare subito al suo compagno una dose della sua medicina, anzi di non limitarsi a una soltanto.

A dirla tutta era stufo dei giorni passati a rendersi buffo, a tirar fuori sorrisi e, quando era in giornata, risate, era stufo di smorfie deformi e versi grotteschi, era stufo di saltellare sui trampoli e far roteare clavette, era stufo perchè sotto al trucco pesante c’era un altro uomo, un uomo che sognava tremende battaglie e imprese gloriose, nobili gesti e amori cristallini, un uomo che un giorno avrebbe abbandonato la finzione per lanciarsi spavaldo nella vita vera, e l’avrebbe fatto come un vero uomo deve fare: cavalcando.

Fargli visita forse non è stata una buona idea come aveva pensato ma ormai è lì, e bisogna tener presente che, essendoci in gioco un’anima, il rischio è giustificato dall’importanza del compito che gli è stato affidato e al quale non può proprio permettersi di non assolvere, e comunque è giusto ammettere che il suo ospite sa il fatto suo, espone le sue argomentazioni con una calma e un sorriso che conquistano, inoltre i cioccolatini che offre sono a dir poco spettacolari e, mentre pensa che ha uno strano luccichio nello sguardo, comincia a sentire una certa sonnolenza e, turbato, si chiede se sia poi così vero quello che gli avevano sempre raccontato, cioè che gli angeli non possono venire incantati.

Vomitare appena svegli è una bellezza, pensò, se consideriamo che è l’acido residuo della sacra baldoria della sera prima, quello sfrenato rito celebrato sotto al calore di una cangiante luce multicolore, è proprio una bellezza sentirsi nudi, senza l’oppressione dei paramenti sacri, e ringraziando persino per il mal di testa si alzò in piedi e guardò con precoce nostalgia la sua chiesetta incastrata fra i pallidi monti.

L’alba venne a curiosare fra i resti melmosi di ciò che aveva guaito tutta la notte, vide poi il custode privo di sguardo e dal volto gonfio galleggiare nella vasca appena più in là, raggiunse l’ingresso spalancato sul corridoio ricoperto di macchie dense e scure, e trasmutò in luce mattutina prima che la Moltitudine facesse ritorno dalla ricognizione nella periferia del pittoresco paesello che, ancòra ignaro, aveva ospitato i suoi denti aguzzi.

Anima sperduta afflitta impaurita, che la discesa ha portato a vagare solitaria in una valle sprofondata a tal punto nel bosco che gli stessi raggi del sole si pèrdono prima di arrivare a lei, si aggira senza sosta, guardinga, fino a che oltre la fine del groviglio scuro intravede una lunga salita e allora corre, corre come non aveva mai corso prima e sale a tutta velocità per raggiungere la vetta il più presto possibile, ignara che al di là di una punta troppo stretta per starci in equilibrio la aspettano numerose altre buie discese.